Sessualità a Roma antica, qualche curiosità

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Perché iniziare questo viaggio nella storia parlando di un argomento come la sessualità nell’Antica Roma?

Avremmo potuto iniziare parlando di qualche personaggio storico (come Cesare o chiunque altro) invece abbiamo deciso di dedicarci ad un argomento particolarmente scomodo come la sessualità.

Innanzi tutto per affrontare un simile argomento dobbiamo innanzi tutto “ripulire” la nostra mente da ogni idea di sessualità che abbiamo oggi, sia essa aperta o chiusa.

Sì, perché i romani (così come per i Greci del resto) i confini di omosessualità eterosessualità erano molto meno netti di quello che possiamo pensare noi oggi.

Basti pensare che la lingua latina non ha una traduzione equivalente per definire l’omosessualità né l’eterosessualità come natura sessuale dell’individuo. Non esisterebbe dunque nessuna distinzione tra gay ed etero.

La sessualità era determinata principalmente da quelli che potremmo definire “manierismi comportamentali”, sia maschili che passivi, in ruoli sia maschili che femminili.

La società romana era una società patriarcale e come tale il maschio era considerato “autorità primaria” enfatizzata dal concetto di mascolinità attiva come premessa di potere e status.

Gli uomini erano liberi di avere rapporti sessuali con altri uomini, ma anche in questo caso bisogna fare particolare attenzione a quello che si dice.

Esisteva un ferreo regolamento che regolamentava i rapporti sessuali tra uomini ed era scritto in quella legge conosciuta con il nome di Lex Scantinia.

Questa legge – secondo gli storici – è stata creata per penalizzare qualsiasi cittadino maschio di alto rango che ha assunto volontariamente un ruolo passivo nel comportamento sessuale.

In campo militare l’omosessualità era considerata una grave violazione alla disciplina militare (come ad esempio riporta lo storico greco Polibio raccontando come l’omosessualità potesse essere punita con il fustuarium – bastonatura a morte).

Contrariamente a quanto si possa pensare (e sono in molti a pensarlo) lo stupro era una pratica condannata dalla legge romana, così come era fortemente condannato lo stupro di minori. Per prevenire tale rischio i ragazzi indossavano un indumento detto toga praetexta, un marchio di stato “inviolabile” ed una bolla per allontanare gli sguardi degli uomini.

Una menzione a parte va fatta per i matrimoni omosessuali, sebbene durante i primi anni imperiali pare fosse una pratica comune.

Marco Valerio Marziale sostiene che il matrimonio tra uomini “è qualcosa che accade di rado, anche se non lo disapprovano”.

Agli inizi del III secolo ad esempio a contrarre matrimonio con un uomo fu l’imperatore Elagabalo (Marco Aurelio Antonino Augusto 218-222 D.C) a contrarre matrimonio con un atleta di nome Zoticus.

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Con il modificarsi dell’identità religiosa dell’impero sono iniziate a cambiare anche le abitudini sessuali dei romani. Gli de pagani politeisti, come Giove o Marte, vennero progressivamente sostituiti dalla religione monoteistica del cristianesimo e la sua influenza si diffuse in tutto il mondo classico.

Entro il quarto secolo dC iniziarono i primi divieti legali contro la pratica del matrimonio omosessuale veniva criminalizzata come parte del Codice Teodosiano. Nell’anno 290 gli imperatori cristiani, Valentiniano II, Teodosio I ed Arcadio dichiararono l’omosessualità illegale in tutto l’Impero e venne istituita la condanna al rogo.

Sotto l’imperatore Giustiniano I fu decretato che qualsiasi forma di comportamento omosessuale fosse contraria alla natura e bandita attraverso l’Impero d’Oriente.

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Quanto scritto in questo articolo non vuole entrare nel dibattito (ancora oggi presente sui giornali e e nelle parole dei ministri) sull’omosessualità e sui matrimoni, ma prendere semplicemente atto di come siano mutate le condizioni antropologiche del rapporto con l’omosessualità con il cambiare anche le abitudini “antropologiche” dei romani.

Le mutate condizioni religiose hanno portato necessariamente ad un cambio di paradigma anche della morale e del modo di pensare della società.

Quello che oggi viene percepito come “problema” nella Roma antica era una pratica normalmente accettata anche se abbiamo visto a determinate condizioni.

 

“Spellacchio” qualche consiglio per i prossimi anni

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Negli ultimi giorni si è scatenato il dibattito sull’albero di Natale della Giunta Raggi a Piazza Venezia.

Tra coloro che lo difendono (perlopiù elettori del Movimento Cinque Stelle e grillini) e coloro che lo contestano (tutti gli altri) cerco di chiarire meglio la mia posizione.

Partiamo da un dato puramente estetico e soggettivo: l’albero è brutto, anche con tutte le luci. Visto di giorno da un senso di tristezza particolarmente profondo che i led riescono solo marginalmente a nascondere, così come la punta è sproporzionata rispetto a tutto il resto dell’albero, dando una profonda immagine di sciatteria di quella che invece dovrebbe essere la Capitale d’Italia.

La difesa ad oltranza di chi difende la Raggi (per un albero brutto oltretutto costato 48 mila euro!) è “quelli della Giunta Alemanno e Veltroni erano peggio e sono costati la stessa cifra”.

Ecco, iniziamo proprio da questa risposta: dire “quelli di prima erano peggio” non è una argomentazione valida per difendere una scelta molto meglio sarebbe rispondere “sì, abbiamo fatto una cretinata ma stiamo cercando di rimediare” oppure “sì, è brutto ma non abbiamo trovato niente di meglio”, di certo non sarebbero risposte consolanti ma sarebbero quantomeno più sensate.

L’albero di Natale è solo l’ennesimo episodio di sciatteria della Giunta Raggi, una scarsa considerazione del valore estetico dell’addobbo natalizio sulla scia del “eh, ma i problemi sono altri”.

Qui sorge il primo problema: l’albero è sito in Piazza Venezia, la piazza centrale di Roma,  quella che è lo snodo centrale per passaggio di turisti, dove si arriva sia da Via del Corso che da Via dei Fori Imperiali e di fronte all’Altare della Patria. Un albero di Natale in un posto simile dovrebbe colpire il turista, dovrebbe far respirare il clima del Natale, quasi far “sentire a casa” chi lo vede. Invece l’albero della Giunta Raggi da un profondo senso di sciatteria, per dirlo alla romana “famolo perché lo dovemo fa”, oltretutto i costi alti non fanno che aggiungere danno alla beffa.

Perché non si è pensato alla possibilità di aprire una gara d’appalto (come fatto ad esempio a Milano) dove si presentavano diversi progetti e si valutava il migliore? Se la paura è quella delle infiltrazioni allora la Giunta Raggi ha fallito la sua missione di lotta alla corruzione, perché la lotta alla corruzione si fa rendendo trasparenti le gare d’appalto e non stando fermi e non fare nulla.

Sarebbe bastato anche andare alla Fondazione Fendi e chiedere “ma che mi fate un albero di Natale?” trovando un accordo con una delle tante società di mode storiche di Roma (che già ha restaurato magistralmente la Fontana di Trevi) risparmiando in questo modo davvero i soldi dei contribuenti e facendo un’opera di reale abbellimento di Roma invece che mettere un albero di Natale tanto per metterlo.

Roma merita di meglio, lo dico sin dai tempi di Marino (che a questo punto confronto alla Raggi diventa un gigante della politica),  non può essere tutto relegato alla sciatteria ed al “e allora quelli di prima?” perché se i cittadini di Roma hanno votato per la Raggi lo hanno fatto per vedere un miglioramento nel modello di amministrazione romana e sinora miglioramenti se ne sono visti pochi: peggiorato il servizio pubblico, Atac sull’orlo del fallimento, alberi di Natale che prendono in giro un po’ in tutto il mondo, qualità della vita inferiore alla media, rifiuti ovunque (che alle volte pare di essere a Calcutta), buche e voragini ovunque (quando c’era Marino ricordo tutti i Cinque Stelle postare foto delle buche con l’immancabile “Marino Dimettiti”)  e altri disastri che sarebbe lungo da elencare.

Non è la prima volta che mi occupo di Roma e delle sue amministrazioni e torno a dire quello che dico da anni: Roma ha bisogno di un progetto e perché questo progetto si possa realizzare serve una giunta capace di realizzarlo, non basta dire “noi siamo diversi” per dimostrare la propria diversità e non basta nemmeno dire “però prima andava peggio”.

Utilizzando lo slogan di Donald Trump nelle scorse elezioni americane potremmo dire Make Rome great again non solo a parole ma anche e soprattutto nei fatti.

Niente deve essere lasciato al caso, nemmeno un albero di Natale soprattutto se è in quella che forse la Piazza più conosciuta al mondo dopo Piazza San Pietro e Piazza Navona. Roma non merita tanta sciatteria, ormai per quest’anno è andata, immagino che ci dovremo tenere Spellacchio ma vediamo gli altri anni di pensare a qualcosa di meglio,  partendo per tempo e non arrivando all’ultimo dicendo “scusate, ma non abbiamo trovato di meglio”.