Recuperare il messaggio di Marx (ed essere attuali)

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Sono anni che la sinistra si scervella su come si possa “superare Marx”, su come si possa conciliare una qualche ideologia di sinistra con un capitalismo sempre più turbo e sempre meno vicino ai bisogni delle persone.

Sembra quasi che il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica abbia dimostrato non solo il fallimento dell’esperimento sovietico, ma abbia dimostrato che l’intero impianto marxista fosse destinato al fallimento.

La fine del sogno sovietico e la conseguente impossibilità di “superamento della fase capitalista della storia” ha portato la sinistra in tutta Europa ad abbandonare le idee marxiste per andare ad abbracciare una dottrina liberista nella speranza di dare vita ad un “liberismo dal volto umano”.

Inutile dire come questo esperimento si sia nel corso del tempo dimostrato essere un fallimento su tutta la linea: il sistema liberista – impostato interamente su una visione individualista della società – ha di fatto portato alla nascita di storture sempre più evidenti nella società ed ad un sostanziale aumento delle differenze di classe, dove classi più ricche sono diventate sempre più ricche mentre quelle che un tempo erano le classi povere sono diventate più povere. Non solo, la crescita esponenziale dei costi della vita ha fatto sì che quella che un tempo era considerata “classe media” venisse con il passare del tempo assimilata ai “poveri” aumentando di fatto il conflitto di classe invece che risolverlo.

Sebbene oggi posso comprendere sia oggettivamente difficile parlare di “padroni” e di “proletariato” bisogna ammettere che quello che Marx alla fine dell’Ottocento definiva “lotta di classe” è tutt’altro che risolto, anzi per molti versi è stato esteso a quelle classi sociali che un tempo erano definite intellighenzia ed avevano il compito di produrre il sapere di una società.

Oggi stiamo assistendo ad una precarizzazione del mondo del lavoro sempre più evidente, un percorso iniziato nel lontano 2001, quando si iniziò a parlare anche in Italia di “flessibilità nel mondo del lavoro”. Flessibilità che è stata in breve trasformata in “precariato”. Inoltre abbiamo visto un aumento sostanziale di quello che possiamo definire “conflitto di classe” o “conflitti di classe”, dove per conflitti dobbiamo intendere tutte le forme di discriminazione e sfruttamento portate avanti da una società capitalista come quella attuale.

Le differenze di razza, colore, orientamento sessuale e spesso religione sono sempre più spesso alimentate da un sistema che crea povertà e creando povertà aumenta anche il conflitto sociale dando vita ad una vera e propria guerra tra poveri con la complicità delle classi dirigenti che quella guerra tra poveri cercano di alimentarla soffiando sul fuoco delle differenze.

Le lotte da portare avanti sono tante, molte diverse tra loro, ma hanno tutte necessariamente lo stesso obiettivo: superare un sistema perverso dove il 99% della popolazione resta soggetto alle decisioni del 1%. 

Perché questo sistema possa essere superato è necessario recuperare il messaggio lanciato da Marx nel 1848, quando parlava della costruzione di una società fondata sulla giustizia sociale e sulla completa assenza delle differenze di classe.

Per quanto ci sia stata la volontà di far passare il messaggio marxista come “antico” e superato dalla società attuale in realtà possiamo affermare che mai come oggi la lezioni (anzi “le lezioni”) di Marx in materia economica, monetaria e finanziaria si sono rivelate tanto esatte.

Recuperare Marx non significa – come molti credono – riportare indietro le lancette dell’orologio dicendo cose impossibili da attuare o “antiche” come dicono molti, facendo leva su un anticapitalismo che ripropone modelli di società superati dall’evoluzione della società umana e storica, tutt’altro.

L’ideologia marxista propone un modello di società basato sull’uguaglianza sostanziale a partire dalle condizioni lavorative, stabilite quelle tutte le altre differenze (derivanti dalla razza, dalla religione, dall’orientamento sessuale) sono destinate a sparire perché le condizioni lavorative sono identiche per tutti ed annullano quelle che sono le differenze di classe. Questo passaggio ovviamente nel pensiero marxista rimane una pura teoria, per essere tradotto in prassi è necessario che tutte le comunità in lotta per i loro diritti si uniscano per “superare la fase capitalista della società” e proprio in questa fase allora che il marxismo torna ad essere attuale. 

Perché questo sia possibile però è necessario tornare alla domanda che si poneva Lenin all’alba della Rivoluzione d’Ottobre, quando chiedeva (con il titolo della sua stessa opera) Che Fare? , ovvero: come fare in modo che quelle che sono le richieste e le prospettive del marxismo possono essere applicate ad una società in trasformazione come quella capitalista attuale? La domanda, che veniva posta nel 1917 rimane in parte ancora senza risposta non solo perché quel percorso elaborato da Lenin non si è mai realizzato ma anche perché in parte quel progetto rimasto abortito rimane – pur con tutte le sue criticità – un progetto ancora valido per pensare ad un superamento del capitalismo o almeno ad un suo miglioramento, per andare nella direzione di una società senza classi (avremo modo nel corso dei prossimi giorni di analizzare anche il pensiero di Lenin, per ora fermiamoci a Marx ed alle sue teorie).

Per questo ho deciso di cercare di ospitare su queste pagine (con il tempo dovuto per preparare delle sintesi adeguate ed accessibili a tutti) una serie di articoli sul marxismo, cercando insieme di spiegare quali sono le implicazioni del recupero del pensiero marxista oggi e quali possono essere le cose che andrebbero migliorate o quantomeno aggiornate al sistema attuale.

Per questa seconda parte parleremo anche di quei pensatori che dopo Marx hanno cercato di applicare le sue teorie ai mutamenti della società in cui vivevano – da Rosa Luxemburg a Herbert Marcuse – cercando di capire come il pensiero marxista sia evoluto nel corso degli anni e come pensiamo possa evolvere ancora.

 

La sinistra guardi all’esperienza del Portogallo per un programma di Governo

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo abbandono da parte della sinistra di quelle che erano le peculiarità dei programmi politici della sinistra.

Da una parte abbiamo assistito alla progressiva scelta da parte delle sinistre europee di accettare i principi di quella che possiamo definire la Terza Via e la progressiva accettazione delle politiche di austerity imposte dall’Europa seguendo lo schema del “non esiste alternativa” e del successivo “senza l’austerity si rischia la bancarotta”.

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La stessa crescita dell’Italia è avvenuta sulla base dei vincoli di bilancio imposti dall’UE con una serie di politiche di fatto hanno abbassato il costo del lavoro aumentando in questo modo la crescita, una scelta politica che ha messo a posto alcuni conti del Paese ma non ha di certo aiutato la crescita del benessere dei cittadini e dei lavoratori, anzi ha creato le condizioni per un sistema costruito sulla precarietà e sulla difficoltà di creare impresa rispondendo sempre alla logica del mercato unico imposto dall’Europa.

Il progressivo cedimento della sinistra a quelli che sono i valori di una società liberista sono stati per anni oggetto di discussione e di contestazione a cui però si dava sempre la stessa risposta: in un sistema economico in cui sono mutate le condizioni non esiste altra risposta possibile se non quella delle politiche di austerity e del pareggio in bilancio e la sinistra deve abbandonare la strada della socialdemocrazia (non prendo nemmeno in considerazione quella che dovrebbe essere la via del comunismo perché quella è stata progressivamente abbandonata già negli Anni Novanta) per governare i processi della società capitalista lavorando non più a tutela del lavoratore ma del capitale.

Questi processi, che sono stati in parte mutuati dalla logica della Terza Via di Tony Blair, hanno portato alla progressiva scomparsa del disegno socialdemocratico in Europa relegando i partiti della sinistra a dei veri e propri comprimari delle destre liberiste di tutta Europa.

Basti citare il caso della Francia, della Germania e della Spagna per comprendere cosa intendo, tre Paesi dove la sinistra è costretta a fare da stampella ai governi di destra relegando sè stessa ad un ruolo marginale nella politica internazionale.

Eppure in Europa esiste un caso limite, un Paese dove si è costruita una alleanza tra socialdemocratici e comunisti sulla base di un programma di Governo improtando alla crescita pur non rispettando quelli che erano i vincoli imposti dall’Europa: sto parlando del Portogallo, dove il Partito Socialista governa insieme ai comunisti e ha risanato il bilancio migliorando anche le condizioni di vita del cittadino.

Facciamo un passo indietro: il Portogallo, negli anni in cui emerse l’acronimo PIIGS (che identificava a detta dell’Europa i Paesi membri a rischio bancarotta se non avessero rispettato i parametri imposti dalla Trojka – BCE, FMI e Banca Mondiale – e che altro non era la sigla di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) era il primo dei Paesi a rischio bancarotta se non avesse accettato i prestiti della Trojka e restituendo i prestiti a costi esorbitanti (come ad esempio successo alla Grecia).

L’accettazione delle politiche di austerità aveva portato il Portogallo ad una sostanziale instabilità politica molto simile a quella della Grecia e dell’Italia dove sembrava essere impossibile formare un Governo in grado di governare i processi politici per uscire dalla crisi.

In questo contesto il Partito Socialista Portoghese decide di fare una scelta in controtendenza rispetto al resto dei partiti socialisti europei: invece che andare nella direzione di una “Grossa Coalizione” tra destra e sinistra decide di formare una alleanza “rossa” insieme al Partito Comunista Portoghese ed il Partito di Bloco de Izquierda (nato nel 1999).

I tre partiti decidono di mettere da parte le loro divergenze (il Partito Comunista ad esempio è fortemente antieuropeista) in nome della stabilità per il Portogallo mettendo in piedi un governo di alternativa a sinistra che ha progressivamente portato il Portogallo ad una costante crescita del PIL ed ad un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.

Il GOVERNO COSTA sarà ricordato come il Governo della crescita

I dati sono sotto gli occhi di tutti: il PIL è al 2,7% (mai così alto dal 2000), il deficit è sceso ai minimi storici mentre la disoccupazione è scesa all’8%.

Tuttavia per comprendere la situazione portoghese occorre fare un passo indietro: prima di questo esperimento nel 2011 al Governo c’erano proprio i socialisti con Socrates, il quale cadde proprio per aver avviato le politiche di austerity chieste dall’Europa. Le elezioni del 2011 consegnano la vittoria alla destra liberista, che procede alla macelleria sociale con le linee guida della Trojka con la forte opposizione dei socialisti in Parlamento.

Alle elezioni successive i socialisti si resero conto di non poter cambiare linea politica dopo le dure contestazioni alla destra ed allora decide di guardare ad una alleanza di sinistra, magari non in grado di vincere le elezioni ma che avrebbe consentito al Partito Socialista di non vedersi completamente abbandonato dal suo elettorato. Contro ogni previsione questa coalizione socialista-comunista non solo vince le elezioni ma porta avanti delle politiche che permettono la crescita del Paese, permettendo in questo modo la rinascita del Portogallo (vedi i dati citati sopra).

COSA HA FATTO IL GOVERNO PORTOGHESE PER MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI VITA DEI LAVORATORI?

La scelta del Governo è stata quella di stimolare i consumi con un semplice restauro dei salari pre Trojka in settori come ad esempio quello della ristorazione e una riduzione progressiva dell’IVA (che comunque, va detto, rimane tra le più alte in Europa). Il resto lo ha fatto (come afferma Left nella sua analisi sul caso portoghese) la liberalizzazione del mercato immobiliare della destra che ha consentito di smuovere il mercato immobiliare aprendo le porte agli investimenti di turisti stranieri anche facoltosi (tra coloro che hanno acquistato in Portogallo troviamo anche la stessa Madonna) ed ha aperto le porte allo sviluppo della Sharing- economy.

Sebbene non sia tutto oro quello che luccica (ci sono ancora diverse questioni che vanno portate avanti come ad esempio il promesso aumento dello stipendio degli statali del 12% fermo da anni)  o il progressivo rischio sulla perdita di identità nazionale per “colpa del turismo” va fatto notare come quello portoghese possa essere un esempio per buona parte delle realtà socialdemocratiche e comuniste in Europa.

Come riportato nell’ultimo numero di Left nell’intervista a Andrè Freire, docente universitario presso l’istituto universitario di Lisbona:

Più che un modello direi che il caso portoghese possa essere visto come una via da percorrere per la socialdemocrazia europea. Non scordiamoci che una soluzione di questo tipo è possibile solo quando le sinistre hanno i numeri per formare un Governo.

Questa è una questione non da poco conto, almeno se andiamo ad analizzare il caso italiano e ci chiediamo se una simile via può essere percorsa.

L’Italia paga una totale assenza di partiti di sinistra, soprattutto di un partito socialdemocratico in grado di allearsi con una sinistra radicale fuori dai radar della politica da almeno dieci anni.

Si rende dunque necessario da una parte di ripensare i metodi della comunicazione di quella parte di sinistra radicale, ripensando ad un modo di comunicare senza abbandonare i propri valori e contestando quelle che sono le linee guida della propria politica, mentre da parte della sinistra che si richiama a principi socialdemocratici andrebbe presa coscienza del fatto che le politiche liberiste non solo si sono rivelate un fallimento ma sono anche alla base delle disuguaglianze sociali che si vuole combattere.

Dopo aver preso atto di questi elementi – che devono essere alla base della costruzione di un processo di costruzione di una alleanza governativa – va costruito un programma che risponda alle esigenze dei lavoratori ma che allo stesso tempo possa evitare i timori dell’Europa sul cedimento strutturale della politica economica dell’Italia.

Una strada lunga da percorrere, ma allo stesso tempo la sola strada possibile per vedere di nuovo la sinistra al Governo con la speranza che porti avanti una politica di sinistra anche nei fatti e non solo nelle parole.

Un auspicio che può e deve diventare reale se vogliamo tenere alto il PIL dell’Italia ed allo stesso tempo consentire agli italiani una vita migliore.