Dopo le elezioni serve un’analisi, qualche considerazione sul PD

Come già detto nel post precedente da queste elezioni il Partito Democratico esce con le ossa rotte.

Anche se dovesse riuscire a vincere in almeno due delle tre città in cui si è presentato sarebbe comunque una vittoria di Pirro che ha lasciato sul sentiero diversi molti ed altrettanti feriti.

L’emorragia di voti e di astensioni stavolta non può essere considerato “endemico” e preso alla leggere perché già dai primi risultati risulta evidente che l’astensione ha colpito principalmente il centro-sinistra ed in misura minore il centrodestra (che dove è andato unito come a Milano dimostra di poter essere ancora competitivo) ed il Movimento Cinque Stelle che sempre più riesce a catalizzare su di sé non solo il voto del malcontento generale ma sta sempre più assumendo una connotazione politica ben precisa, tanto che almeno al livello teorico esiste un asse Salvini-Cinque Stelle.

Partiamo proprio dai Cinque Stelle: credo che da qui alle prossime sfide sia essenziale una disamina di cosa sia il Movimento 5 Stelle a questo punto della legislatura; ci sono seri rischi di commettere lo stesso errore che per un ventennio si è commesso con Berlusconi, considerandolo come “antipolitica” e bollando come “idioti”tutti quelli che lo sostenevano.

Il concetto di “populismo” non deve per forza avere una accezione negativa, potremmo chiederci polemicamente se noi perdiamo perché ormai non siamo più “populisti”, restituendo al termine la sua accezione originale derivante dalla parola “popolo”.

Non a caso le elezioni romane hanno dato un risultato impietoso nelle periferie con il Partito Democratico che vince solo in 1° ed in 2° Municipio, ovvero quei municipi considerati “benestanti”.

LE colpe ovviamente non possono essere attribuite al solo Matteo Renzi (che di suo paga a mio avviso una certa superficialità nella gestione del partito ed una scarsa conoscenza dei territori di cui è segretario), ma vanno equamente divise tra tutti gli iscritti e dirigenti del partito.

Inutile nascondersi dietro un dito: il PD ha perso il rapporto con il mondo del lavoro (e rischia di perdere anche quello del Terzo Settore – tra tutti gli insegnanti) per diventare sempre più un partito elitario votato nei salotti bene ma poco percepito dal “popolo” che sempre più si orienta votando per i Cinque Stelle come voto di protesta o non andando a votare lasciando l’onere a quei partiti che sono meglio organizzati in caso di elezioni e data la continua emorragia di iscritti al partito ovviamente a trarne vantaggio non sarà il Partito Democratico.

Il Partito si sta lentamente sfaldando e gli elettori se ne sono accorti per questo non ci stanno dando più fiducia.

LA continua guerra tra correnti sta logorando il partito e lo sta logorando nel peggiore dei modi.

Non condivido l’idea di Renzi di intervenire con il napalm (soprattutto se questo vuol dire commissariare e basta come fatto a Napoli e Roma) ma credo che serva una seria analisi su che cosa sia diventato il Partito Democratico e su che direzione debba prendere dal giorno dopo le elezioni.

Prima del referendum istituzionale (su cui Renzi ha puntato tutto il suo governo) dobbiamo porci innanzi tutto una domanda, la stessa domanda che da almeno vent’anni ci stiamo ponendo ed a cui non abbiamo ancora dato risposta: dove stiamo andando?

Arte e cultura per salvare l’Italia

L’Italia, da sempre è la meta turistica per eccellenza.

Nel’Ottocento era un privilegio per pochi poter viaggiare in Italia, ma tutti i grandi intellettuali che definivano tali dovevano fare tappa nel nostro Paese per poter completare il loro processo formativo.

GOETHE , per esempio, scrisse un bellissimo Viaggio in Italia in cui raccontava le bellezze che aveva visto nel nostro Paese e Keats si fece addirittura seppellire in Italia nel cimitero anglicano. Altri hanno percorso le strade italiane, raccontandone meraviglie e scrivendo romanzi (come non pensare alla Certosa di Parma di StendhalLa marchesa di Sansevero di Alexandre Dumas) ambientati per l’appunto in Italia.

Eppure da anni l’Italia non sembra riuscire  sfruttare il patrimonio artistico-culturale di cui dispone il Paese, lasciando spesso incompiuti, lavori di restauro, opera e borghi spesso e volentieri abbandonati al loro destino senza che nessun ente comunale o nazionale intervenga nella gestione e nella cura di questo patrimonio artistico valorizzandolo per quello che è: una risorsa del Paese e della nazione.

Va detto che la consapevolezza delle ricchezze del nostro Paese manca da sempre, da quando l’Italia venne definita “un’espressione geografica su una cartina” da Metternich, il cancelliere prussiano che mise in evidenza come l’Italia non fosse una nazione con uno spirito identitario forte ma fosse solo una serie di popoli in costante lotta tra loro.

Questo concetto è rimasto a fondo radicato nello spirito italiano ed impedisce di valorizzare al meglio quello che è un patrimonio identitario e culturale di una nazione come potrebbe la Germania oggi o come lo sono la Francia o la stessa Spagna, pur dilaniata dalle pulsioni secessioniste di Catalogna e Paesi Baschi.

Tornando all’Italia, possiamo citare il caso di Pompei su tutti: il sito archeologico più visitato al mondo abbandonato per anni a sé stesso senza una promozione turistica adeguata e soprattutto senza controlli o restauri in grado di promuovere quello che senza dubbio è uno dei gioielli della storia italiana, che è stato anche teatro (musicalmente parlando) di due concerti storici: quello dei Pink Floyd e dei Dream Theater.

Nel 2015 Pompei è stata visitata da 2.978.884 turisti  rimanendo uno dei siti archeologici con il maggior numero di visite dal 2000 ad oggi  non scendendo praticamente mai sotto i DUE MILIONI DI VISITE NEL CORSO DEGLI ULTIMI QUINDICI ANNI, tutto questo nonostante le difficoltà patite negli ultimi anni.

Valorizzare questo patrimonio, non solo con il mantenimento, ma anche con il lavoro di promozione e di costruzione di infrastrutture che renda questo posto, come tanti altri accessibile ed appetibile per chi vuole visitarlo e conoscere la sua bellezza è una delle missioni che si deve porre questo e qualunque altro governo in Italia.

Ho citato il caso di Pompei perché si tratta forse di quello più “tristemente noto” alle cronache, con i crolli e lo stato di abbandono che lo ha portato alle cronache di tutti i giornali del mondo, ma come Pompei ci sono tanti altri siti turistici e non abbandonati e dimenticati che invece potrebbero essere sfruttati per far conoscere meglio l’Italia nel mondo.

Vorrei creare uno spazio su questo sito per poter costruire una vera e propria mappatura di quelli che sono i siti di maggior interesse dell’Italia, pensando insieme a come questi siti potrebbero essere valorizzati e quale possa essere in questo contesto il ruolo dello Stato e del Ministro Franceschini.

L’idea è quella di far conoscere siti italiani, mettendo in contatto enti e società che i occupano della valorizzazione del territorio per permettere all’Italia non solo di ripartire ma di tornare ad essere “centro nevralgico della cultura del mondo” come lo era stato nel periodo che va dal Quattrocento al Seicento soprattutto.

Io nel mio piccolo, aprirò una sezione in cui cercherò di parlare di capolavori artistici, architettonici ed artistici italiani, perché questo patrimonio venga conosciuto ed apprezzato prima di tutto da noi, perché senza la conoscenza del proprio passato nessuna nazione è in grado di costruire il proprio futuro.