Tutte le strade portano a Roma…

Il famoso detto “Tutte le strade portano a Roma” non era semplicemente un modo di dire ai tempi della Roma Antica.

Generalmente i Romani con il termine Via intendevano le strade extraurbane che partivano da Roma e collegavano tutte le provincie dell’Impero.

Come venivano scelti i nomi delle strade nella Roma Antica?

C’erano diversi modi per scegliere i nomi delle strade: a differenza di quello che avviene oggi (dove i nomi delle strade sono più che altro un omaggio a personaggi famosi siano essi politici o scrittori) i Romani avevano un modo piuttosto pratico per indicare i nomi delle vie.

Principalmente il nome di una via veniva scelto seguendo tre criteri: poteva essere il nome della destinazione finale della strada (come ad esempio la Tiburtina o la Tuscolana); veniva dato alla strada il nome del console che la aveva costruita (come ad ese

pio l’Appia o l’Aurelia); infine, il nome poteva indicare il fine della strada (la Salaria, ad esempio era la “via del Sale”).

Le strade di Roma erano delle vere e proprie autostrade del tempo, il tragitto veniva studiato con la massima cura ed erano costruite in modo da poter raggiungere ogni destinazione nel più veloce tempo possibile.

Il percorso era rettilineo, gli ostacoli della natura era superati utilizzando l’ingenium: se c’era un fiume venivano costruiti dei ponti, se c’era una collina si realizzava un traforo, anche se in alcuni casi gli ingegneri decidevano di eliminare del tutto l’ostacolo, stando sempre attenti a rispettare il paesaggio, deturpandolo il meno possibile (cfr. a questo proposito di GIULIA FIORE COLTELLACCI, I segreti tecnologici dei Romani, pp. 17 e segg.).

Le strade erano abbastanza larghe da consentire il passaggio a due carri nei due sensi di marcia opposti e la pavimentazione veniva costruita in ciottoli per consentire una maggiore stabilità e drenaggio del terreno.

Le arterie principali erano addirittura costruite con pietre poligonali – il basolato – che rendeva il manto stradale “idrorepellente” in modo che i mezzi di trasporto non restassero impantanati in caso di pioggia o neve. Ai lati delle viae erano previsti marciapiedi, alberi che facevano ombra e stazioni di sosta per permettere di riposarsi e fontane dove potersi dissetare.

Le strade erano costruite per durare nel tempo, anche perché nessuno era disposto a pagare troppi sesterzi per ripararle.

Pensate solo al fatto che i lastroni della via Appia sono ancora là, mentre le strade di oggi sono ricoperte di buche.

Chi garantiva l’efficienza delle strade?

L’equivalente della nostra ANAS era il praefectus vehiculorum che aveva il compito di controllare il buon funzionamento del servizio stradale grazie a squadre di curiosi il cui compito era quello di viaggiare e segnalare eventuali disservizi.

Insomma, le strade di Roma erano particolarmente efficienti e la loro gestione era attenta e curata.

Questo ovviamente non toglie il fatto che i viaggi erano comunque lunghi, faticosi e rischiosi.

Per rendere il viaggio più agevole erano previste delle stazioni di sosta e le mutatio, che altro non erano che stazioni di sosta dove poter cambiare cavallo, un servizio utilizzato soprattutto dai cursores, l’equivalente dei nostri postini, un vero e proprio servizio di pony express.

Insomma, a quanto pare le strade a Roma funzionavano, forse meglio di come funzionano oggi, anche se come detto non mancavano i disservizi.

Una nuova rubrica: pillole di storia (e cultura) dell’Antica Roma

Inauguriamo con questo post una nuova rubrica per questo blog.

Ho deciso di avviare questa nuova sezione (sperando di avere il tempo materiale di curarla a dovere tra un impegno scolastico e l’altro) partendo dalla domanda che in questi ultimi giorni sta impazzando sul web: “Quanto spesso pensi all’impero romano?”.

La domanda successiva che mi sono posto è stata “Quanto sappiamo davvero dell’impero romano?” o meglio, “quanto ne sappiamo realmente di come vivevano gli Antichi Romani?”.

Per quanto la cultura romana abbia gettato le basi per lo sviluppo di quella che sarebbe diventata poi la cultura occidentale il modo di pensare di agire, e di comportarsi dei romani è totalmente diverso dal nostro ma allo stesso tempo ricalca vizi e virtù del mondo di oggi.

Per questo penso possa essere interessante (e curioso) saperne di più del modo di ragionare dei romani. Sfruttando la storia latina, le fonti dirette degli storici ed anche la Letteratura Latina cercheremo di intraprendere questo viaggio all’interno della storia di Roma, raccontato la storia di un impero millenario; non sarà una sorpresa capire che scopriremo di avere molte cose in comune con i Romani, così come scopriremo (forse) che sotto molti aspetti la civiltà romana era molto più avanti della nostra.

L’ultimo Cavaliere (Il Re è morto, viva il Re!)

Mi sono preso qualche giorno di tempo per scrivere qualche considerazione sulla morte di Silvio Berlusconi.

Lo ho fatto perché in qualche modo ho dovuto “metabolizzare” la morte di colui che, volenti o nolenti, ha segnato la vita politica, sociale ed economica dell’Italia degli ultimi quarant’anni almeno. Inoltre, non ho commentato niente a caldo, non volendo prestarmi al gioco mediatico di chi lo ha osannato come un novello “Santo subito” e chi lo ha presentato come l’incarnazione dell’Anticristo.

Servirà tempo per superare il “berlusconismo” e ne servirà ancora di più per poter esprimere un giudizio equo su quella che è stata la figura di Silvio Berlusconi: imprenditore visionario, “grande statista”, uomo di pace, criminale, cantore dei vizi e delle virtù italiane, l’uomo che si è fatto da solo, Silvio Berlusconi è stato tutto questo.

Per anni ha incarnato il mito del self made man all’italiana, l’incarnazione dello spirito reaganiano del capitalismo con tutti i suoi vizi e le sue virtù. Quando si parla di Berlusconi non si può non tenere conto che le sue televisioni hanno plasmato la mente degli italiani, in qualche modo hanno narrato un Paese in cambiamento, smarrito dopo la fine della classe dirigente post-Tangentopoli.

Sul politico e sulla persona è stato detto tutto: sulle sue inchieste, sui suoi vizi, sulle sue gaffes, sulla fine inglorioso del suo impero politico con le risatine di Sarkozy e della Merkel e il Parlamento che vota sostenendo che “Ruby era la nipote di Mubarak”.

Silvio Berlusconi ha inventato il concetto di “partito azienda” in almeno trent’anni di attività politica ha plasmato la mente degli italiani, dividendo il Paese in folle osannanti che lo amavano e folle di persone che lo odiavano. Non è facile essere obiettivi quando si parla di una figura tanto divisiva, soprattutto perché qualunque cosa si dica rischia di essere interpretata come “odio mediatico” o come “santificazione di un criminale” per questo sarebbe il caso di andare con ordine e capire prima di tutto chi era Silvio Berlusconi e perché è stato tanto amato (e odiato) dalla popolazione italiana.

Fino al 1994 era un imprenditore spregiudicato, quello che aveva comprato la casa di Arcore ad un costo molto più basso del suo effettivo valore di mercato (a seguito dello scandalo dell’omicidio/suicidio del Marchese Casati Stampa), che aveva capito il potenziale della televisione prima che lo comprendessero altri e che nel 1980, con la nascita di Canale Cinque (nata dopo aver comprato le frequenze di un canale privato della Mondadori), creando un modo alternativo di “intrattenimento televisivo”, una televisione che fosse svago vero e proprio e non didascalica, pedagogica e moralista come era la Rai. Con la sua “discesa in campo” le sue televisioni sono diventate l’amplificatore della sua visione politica, una vera e propria macchina da guerra da usare all’occorrenza contro gli odiati comunisti.

Già, i comunisti: la brillante intuizione politica di Silvio Berlusconi fu quella di creare letteralmente da zero il centrodestra, sdoganando l’antico dogma della Prima Repubblica che i post- fascisti del Movimento Sociale Italiano non potessero fare politica: potevano essere tollerati, ma non avevano nessun legame con la democrazia “nata dall’antifascismo”.

Il patto del 1993, quando disse a sorpresa “se fossi un cittadino romano voterei per Gianfranco Fini, non per Rutelli”, rompendo un tabù della politica italiana.

Nel 1994, si presenta alle elezioni con un partito che ha fatto del marketing il suo mantra già nel nome “Forza Italia”, un nome in cui tutti possono identificarsi, perché tutti almeno una volta nella vita hanno gridato Forza Italia. Il centrosinistra, la gioiosa macchina da guerra di Occhetto è convinto di poter vincere, perde malamente le elezioni e viene relegato all’opposizione, costretto poi nei fatti a diventare moderato (sino a vincere le elezioni nel 1996 candidando Romano Prodi, un democristiano moderato, il solo che lo batterà alle urne per ben due volte).

Vince con la promessa di una “rivoluzione liberale” che nei fatti non viene mai realizzata, quando lascia il potere nel 2011 il sistema è molto più corporativo di prima, ingessato in rituali da Prima Repubblica con una Seconda che, nei fatti, non è mai nata. Del resto non poteva essere altrimenti, il Ventennio berlusconiano è stato segnato dalla polarizzazione sulla persona non sulle politiche che sono sempre state messe in secondo piano (colpevolmente anche dalle opposizioni che hanno in parte rinunciato alla loro identità nel tentativo di sconfiggere il nemico comune).

La sua morte pone veramente fine ed un’era della politica italiana. Un’era in cui la politica è stata fondata da personalismi, politica estera fondata sulle personali amicizie del leader (Putin e Gheddafi su tutti).

Il tutto viziato dalle inchieste giudiziarie, le condanne per evasione fiscale, lo scandalo di “fine impero” del bunga bunga tutto accompagnato dalle barzellette, le figuracce in diretta mondiale gli insulti agli elettori avversari (“non posso credere in che in Italia ci sono così tanti coglioni che votano a sinistra”), la costruzione del mito attorno a se stesso, la mitomania di un leader che non ha mai accettato l’idea di poter essere messo in secondo piano.

Tutto questo ed anche di più è stato Silvio Berlusconi; servirà tempo per poter analizzare a mente fredda gli ultimi vent’anni di storia italiana perché, come disse Montanelli “ci vorranno trent’anni per uscire dal berlusconismo” e come diceva Gaber “io non ho paura di Berlusconi, ma del Berlusconi dentro di me” perché l’uomo Berlusconi per tutta la sua vita ha incarnato vizi e virtù di un Paese allo sbando, orfano di una classe politica dopo la fine di Tangentopoli.

Prospettive per lo studio della storia

Probabilmente la storia a scuola è una di quelle materie odiate dagli studenti così come lo sono la lingua latina (per gli studenti delle superiori) o come lo sono la matematica o altre materie “potenzialmente noiose”.

Ho già affrontato su questo blog in altri articoli il rapporto che la scuola dovrebbe avere con la storia (nella maggior parte dei casi insegnata male e solo seguendo uno schema dove basta imparare a memoria qualche data per comprendere la storia) ma ho deciso di ritornare sul tema.

Innanzi tutto perché prima di essere qualunque cosa sono uno “storico” e quindi mi interessa che la materia a cui ho dedicato la mia intera vita (o parte di essa) venga studiata nella maniera migliore e venga apprezzata dagli studenti almeno tanto quanto la ho apprezzata io.

Prima di iniziare però cerchiamo di rispondere ad una domanda: chi è lo storico?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo prima rispondere ad un’altra domanda: che cosa è la “storia”?

No, non intendo la materia che ti fa conoscere il passato, insomma quella dove ci sono le date della Seconda Guerra Mondiale o dei Governi Giolitti (giusto per citare due eventi legati alla storia d’Italia) intendo letteralmente: cos’è la storia?

Letteralmente, se risaliamo alla sua etimologia originale greca

obabilmente la storia a scuola è una di quelle materie odiate dagli studenti così come lo sono la lingua latina (per gli studenti delle superiori) o come lo sono la matematica o altre materie “potenzialmente noiose”.

Ho già affrontato su questo blog in altri articoli il rapporto che la scuola dovrebbe avere con la storia (nella maggior parte dei casi insegnata male e solo seguendo uno schema dove basta imparare a memoria qualche data per comprendere la storia) ma ho deciso di ritornare sul tema.

Innanzi tutto perché prima di essere qualunque cosa sono uno “storico” e quindi mi interessa che la materia a cui ho dedicato la mia intera vita (o parte di essa) venga studiata nella maniera migliore e venga apprezzata dagli studenti almeno tanto quanto la ho apprezzata io.

Prima di iniziare però cerchiamo di rispondere ad una domanda: chi è lo storico?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo prima rispondere ad un’altra domanda: che cosa è la “storia”?

No, non intendo la materia che ti fa conoscere il passato, insomma quella dove ci sono le date della Seconda Guerra Mondiale o dei Governi Giolitti (giusto per citare due eventi legati alla storia d’Italia) intendo letteralmente: cos’è la storia?

Letteralmente, se risaliamo alla sua etimologia originale greca
ἱστορία il termine indica letteralmente “indagine, investigazione, ricerca”.

Qui dunque ci possiamo porre la prima domanda: la storia è ricerca di cosa?

Di solito quando si parla di “ricerca” siamo tutti abituati a pensare che la ricerca si faccia in chimica, in fisica, in biologia o in materie appunto che consideriamo “scientifiche”, facendo una distinzione tra “materie scientifiche” e “materie umanistiche”.

Eppure vi posso sorprendere dicendo che quella distinzione non esiste se non nella nostra mente.

Torniamo quindi alla domanda iniziale: di che cosa si occupa esattamente la storia? Quali sono i suoi campi di ricerca?

Possiamo dare una risposta dicendo che la storia si occupa di studiare l’uomo.

Meglio ancora, la storia “racconta l’uomo ed il modo in cui questo interagisce con l’universo ed il modo in cui lo modifica attraverso le sue decisioni”.

In un articolo precedente ho già ipotizzato la storia attraverso la descrizione di tre eventi tra loro apparentemente scollegati ma che possono invece avere tra loro una connessione logica per cui senza il primo non si sarebbe potuto verificare il secondo. (https://smirnoffsite.wordpress.com/2018/10/13/storia-maestra-di-vita-se-insegnata-nella-giusta-maniera/)

Possiamo provare ad allargare ora lo spettro di quell’esperimento ponendoci una serie di domande su alcuni eventi storici e sulle conseguenze sulla storia dell’evoluzione umana, partendo da una cosa facile di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, ovvero la Guerra Fredda.

Con il termine Guerra Fredda si indica il periodo che seguì la fine della II Guerra Mondiale e che vide Unione Sovietica e Stati Uniti.

La Guerra Fredda ci sarebbe stata senza la Rivoluzione d’Ottobre di Lenin? Ed ancora la Rivoluzione ci sarebbe mai stata se la Russia fosse rimasta neutrale nella Prima Guerra Mondiale?

Ripetendo questo schema potremmo arrivare ad analizzare ogni evento alla luce degli eventi precedenti cercando di capire come le interazioni dell’uomo nell’universo abbiamo modificato la struttura degli eventi sino a compiere un determinato evento.

Ribaltando questo schema potremmo prevedere gli eventi futuri sulla base degli eventi del passato, non utilizzando qualche potere misterioso ma prendendo in considerazione tutte le variabili che si possono prendere in considerazione nell’analisi di un singolo evento.

Insegnare “La Storia” dunque vuol dire insegnare il modo in cui l’uomo interagisce con l’universo circostante? Se limitiamo la nostra concezione della “storia” allo studio del singolo essere umano allora sì, però possiamo andare oltre e per farlo dobbiamo allargare la nostra mente e cambiare la nostra prospettiva sulla “storia”.

Dunque, con il termine “storia” si inizia a parlare di storia solo nel momento in cui l’essere umano inizia a scrivere prima si parla di “Preistoria” e la materia che ne occupa è la Paleontologia.

Ma quello che era prima dell’uomo non è storia?

Forse dobbiamo uscire dalla nostra visione “antropocentrica” della storia per poterla comprendere meglio e poter spiegare tutta la sua complessità ai nostri studenti, perché si possa fare partiamo da un singolo evento, anche minimo e chiediamoci, come è iniziato tutto? In breve arriveremo a costruire uno “schema scientifico” che va dall’antropologia alla fisica, passando per altre materie che ci possano aiutare a “superare” la visione della storia come materia vuota, chiusa in sé stessa, come semplice materia dove bisogna ricordare due date in fila.

Storia, maestra di vita (se insegnata nella giusta maniera…)

storia

La notizia che sia stato tolto il tema di storia dagli esami di maturità è di pochi giorni fa.

Di per sé la notizia è passata quasi sotto silenzio, poche parole in un comunicato stampa del Ministro della Pubblica Istruzione e poco spazio nei telegiornali nazionali, altre erano le notizie importanti in quei giorni.

Eppure, la notizia avrebbe meritato tutt’altro rilievo da parte della stampa, avrebbe dovuto essere oggetto di dibattito da parte degli “esperti” , quelli che si reputano essere ancora “intellettuali”, coloro che difendono il sapere.

L’oggetto del dibattito non dovrebbe essere però “è giusto eliminare il tema di storia dalla maturità?”, la domanda posta in tal modo avrebbe potuto dar vita ai soliti dibattiti tra “esperti” a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.

La domanda che invece ci sarebbe dovuti porre sarebbe dovuta essere: ha ancora valore una storia insegnata come viene insegnata oggi nelle scuole superiori?

Innanzi tutto per rispondere a questa domanda si dovrebbe una volta per tutte chiarire un equivoco alla base dello studio della storia: lo studio della storia non è finalizzato all’imparare a memoria qualche data, lo studio della storia dovrebbe invece essere innanzi tutto un prezioso strumento per analizzare e comprendere la realtà che ci circonda partendo proprio dagli eventi storici per arrivare alla comprensione dell’attualità e del mondo circostante.

Perché questo sia possibile è necessario che nelle scuole superiori (almeno nel triennio che porta agli esami di maturità) si campi approccio e metodologia dello studio della storia, non più un mero imparare date a memoria ma fornire allo studente tutti gli strumenti per comprendere un dato evento storico e comprendere le implicazioni che questo evento ha avuto nell’attualità.

Troppo spesso la storia viene insegnata come se fosse una semplice sequenza di eventi senza concatenazione alcuna mentre chi studia a fondo la storia può affermare che sia tutto il contrario: in storia tutto è consequenziale e nulla avviene per caso, ogni evento ne presuppone un altro ed ogni evento a sua volta è stato preceduto da qualcos’altro. Proviamo a questo proposito – per chiarire meglio il punto – a fare un esempio concreto:

EVENTO UNO: LA SECONDA GUERRA MONDIALE

EVENTO DUE: LA GUERRA FREDDA

Possiamo affermare con certezza assoluta che senza il primo ci sarebbe stata la seconda? E possiamo affermare che la storia nel nostro secolo (sino al crollo del Muro di Berlino) avrebbe avuto lo stesso corso senza gli eventi della Guerra Fredda? Ed ancora, possiamo affermare che la storia d’Italia (così come quella di tante altre nazioni) non sarebbe stata condizionata dagli eventi della Guerra Fredda?

La tendenza a pensare alla storia non come uno strumento per analizzare la realtà circostante ma come una materia a sé stante di fatto è quanto rende lo studio della storia inutile nelle scuole.

Ripensare invece le categorie di come la storia viene insegnata può essere la base per quella riforma del sistema scolastico sempre pensata e mai realizzata.

Non serve insomma cancellare il tema di storia per riformare la storia, basta dare alla storia l’importanza che merita all’interno del sistema scolastico e stabilire una volta per tutte che cosa voglia davvero dire “historia magistra vitae”. 

I numeri arabi, cosa sono e come sono arrivati a noi

cifrearabe

 

In questi giorni sui social è possibile che abbiate visto un post con la seguente scritta: ” vogliono introdurre i numeri arabi nelle scuole, voi siete d’accordo?” e ci sono commenti ironici su quanto le persone siano ignoranti, ma la domanda è: sappiamo davvero da dove vengono i numeri arabi? Quelli che chiamiamo numeri arabi sono davvero arabi? Perché si decise che era meglio di quelli romani?

Seguiamo le tracce dei numeri arabi…

Quelli che vengono chiamati comunemente numeri arabi sono i numeri che usiamo nella vita di tutti i giorni: 0, 1,2,4,5,6,7,8,9 e sono dette per l’appunto “cifre arabe”, anche se quello su cui noi oggi basiamo i nostri calcoli è un sistema detto “metrico decimale” che è un miglioramento dei numeri arabi.

nota l evoluzione del 2 da || e del 3 da |||

Le cifre arabe comunque non sono giunte a noi nel modo in cui le scriviamo, ma sono un’evoluzione dei numeri brahmi indiani , i quali dopo innumerevoli trascrizioni per mano di popoli diversi sono arrivati ad essere scritti da noi nel modo in cui li conosciamo.

Ma andiamo con ordine: partiamo dalla storia dei numeri arabi.

Abbiamo visto che né i numeri arabi né il relativo sistema di calcolo che li accompagna è stato inventato dagli arabi, bensì si tratta di un’invenzione indiana che si sviluppa tra il 400 a.C ed il 500 d.C.

Sono chiamati arabi perché la loro diffusione avvenne proprio grazie ad alcuni astronomi arabi. 

Tutto ebbe inizio intorno al 650 a.C: un vescovo siriano accenna in un proprio manoscritto ad alcuni simboli con cui il popolo indiano riesce a scrivere ogni numero e fare di conto molto più velocemente di quanto non succeda con i numeri romani.

Durante il califfato di Al-Mamun, nel 772 d.C giunse nella città di Bagdad una delegazione di matematici indiani che portò al Califfo un’opera dove veniva spiegato per filo e per segno come attraverso dieci segni potesse essere possibile scrivere qualsiasi numero e svolgere facilmente i calcoli (l’opera in questione è il Siddantha).

A tale opera attinse l’astronomo arabo Al Khwarizmi, responsabile della biblioteca del Califfo ed autore di numerose opere di astronomia, aritmetica ed algebra.

 

Sessualità a Roma antica, qualche curiosità

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Perché iniziare questo viaggio nella storia parlando di un argomento come la sessualità nell’Antica Roma?

Avremmo potuto iniziare parlando di qualche personaggio storico (come Cesare o chiunque altro) invece abbiamo deciso di dedicarci ad un argomento particolarmente scomodo come la sessualità.

Innanzi tutto per affrontare un simile argomento dobbiamo innanzi tutto “ripulire” la nostra mente da ogni idea di sessualità che abbiamo oggi, sia essa aperta o chiusa.

Sì, perché i romani (così come per i Greci del resto) i confini di omosessualità eterosessualità erano molto meno netti di quello che possiamo pensare noi oggi.

Basti pensare che la lingua latina non ha una traduzione equivalente per definire l’omosessualità né l’eterosessualità come natura sessuale dell’individuo. Non esisterebbe dunque nessuna distinzione tra gay ed etero.

La sessualità era determinata principalmente da quelli che potremmo definire “manierismi comportamentali”, sia maschili che passivi, in ruoli sia maschili che femminili.

La società romana era una società patriarcale e come tale il maschio era considerato “autorità primaria” enfatizzata dal concetto di mascolinità attiva come premessa di potere e status.

Gli uomini erano liberi di avere rapporti sessuali con altri uomini, ma anche in questo caso bisogna fare particolare attenzione a quello che si dice.

Esisteva un ferreo regolamento che regolamentava i rapporti sessuali tra uomini ed era scritto in quella legge conosciuta con il nome di Lex Scantinia.

Questa legge – secondo gli storici – è stata creata per penalizzare qualsiasi cittadino maschio di alto rango che ha assunto volontariamente un ruolo passivo nel comportamento sessuale.

In campo militare l’omosessualità era considerata una grave violazione alla disciplina militare (come ad esempio riporta lo storico greco Polibio raccontando come l’omosessualità potesse essere punita con il fustuarium – bastonatura a morte).

Contrariamente a quanto si possa pensare (e sono in molti a pensarlo) lo stupro era una pratica condannata dalla legge romana, così come era fortemente condannato lo stupro di minori. Per prevenire tale rischio i ragazzi indossavano un indumento detto toga praetexta, un marchio di stato “inviolabile” ed una bolla per allontanare gli sguardi degli uomini.

Una menzione a parte va fatta per i matrimoni omosessuali, sebbene durante i primi anni imperiali pare fosse una pratica comune.

Marco Valerio Marziale sostiene che il matrimonio tra uomini “è qualcosa che accade di rado, anche se non lo disapprovano”.

Agli inizi del III secolo ad esempio a contrarre matrimonio con un uomo fu l’imperatore Elagabalo (Marco Aurelio Antonino Augusto 218-222 D.C) a contrarre matrimonio con un atleta di nome Zoticus.

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Con il modificarsi dell’identità religiosa dell’impero sono iniziate a cambiare anche le abitudini sessuali dei romani. Gli de pagani politeisti, come Giove o Marte, vennero progressivamente sostituiti dalla religione monoteistica del cristianesimo e la sua influenza si diffuse in tutto il mondo classico.

Entro il quarto secolo dC iniziarono i primi divieti legali contro la pratica del matrimonio omosessuale veniva criminalizzata come parte del Codice Teodosiano. Nell’anno 290 gli imperatori cristiani, Valentiniano II, Teodosio I ed Arcadio dichiararono l’omosessualità illegale in tutto l’Impero e venne istituita la condanna al rogo.

Sotto l’imperatore Giustiniano I fu decretato che qualsiasi forma di comportamento omosessuale fosse contraria alla natura e bandita attraverso l’Impero d’Oriente.

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Quanto scritto in questo articolo non vuole entrare nel dibattito (ancora oggi presente sui giornali e e nelle parole dei ministri) sull’omosessualità e sui matrimoni, ma prendere semplicemente atto di come siano mutate le condizioni antropologiche del rapporto con l’omosessualità con il cambiare anche le abitudini “antropologiche” dei romani.

Le mutate condizioni religiose hanno portato necessariamente ad un cambio di paradigma anche della morale e del modo di pensare della società.

Quello che oggi viene percepito come “problema” nella Roma antica era una pratica normalmente accettata anche se abbiamo visto a determinate condizioni.

 

Curiosità storiche

Lo so, su queste pagine principalmente si è parlato di politica, di economia e di attualità e decidere di punto in bianco di parlare di storia potrebbe “spiazzare”.

Ma prima di essere una persona che si interessa di politica (e nei limiti delle sue possibilità prova anche ad occuparsene) sono uno storico ed un insegnante di latino ed allo stesso tempo sono un appassionato di archeologia quindi ho pensato “perché non usare queste pagine per raccontare ogni tanto qualche cosa che riguarda il mio campo di lavoro?” così eccoci qui.

Doverosa una premessa: nel corso di queste lezioni di storia potrei decidere di affrontare diversi argomenti, dalla fine dei Templari al Fascismo passando per la storia dell’Impero Romano cercando sempre e comunque di mantenere un distacco che potremmo definire storico nel raccontare gli eventi, lasciando a voi lettori di trarre le vostre conclusioni. Dunque iniziamo… seguite ancora questo blog e seguite il tag #curiositàstoriche e #storia potreste entrare in mondo affascinante e scoprire cose che sino a ieri ignoravate… pronti?