La Sinistra europea: dall’internazionalismo al “globalismo”

La crisi della Sinistra (intesa come blocco politico sociale) ha radici profonde.

Secondo alcuni la crisi risale al biennio 1989-1991.

Il crollo del muro di Berlino (1989) e la fine dell’Unione Sovietica (1991) avrebbe messo in luce tutti i limiti della visione marxista-leninista della società e segnando definitivamente la fine delle illusione della possibilità di realizzare una società comunista fondata sull’utopia dell’uguaglianza.

Quasi tutti i partiti comunisti occidentali hanno scelto di abbandonare la visione utopica del marxismo che si proponeva di superare il modello imposto dalla società capitalista per accettare in blocco quelli che erano i principi del capitalismo e della globalizzazione tramutando di fatto il concetto di internazionalismo socialista in globalizzazione universale.

Alla realizzazione distopica dell’uguaglianza socialista hanno sostituito la realizzazione distopica dell’uguaglianza nella globalizzazione accettando in maniera passivamente acritica tutti quei principi e dogmi che sono alla base del capitalismo, illudendosi che globalizzazione volesse dire uguaglianza: non potendo superare le disuguaglianze all’interno del sistema capitalista si è pensato che per rendere tutti uguali bastasse estendere a tutti gli individui della società la possibilità di avere accesso alla merce, strumento con il quale il capitale tende a dare all’individuo l’illusione della libertà (la libertà viene intesa dunque come libertà di accesso alle merci e non come libertà di accesso ai capitali).

Compito delle sinistre dovrebbe essere quello di annullare le differenze economiche redistribuendo la ricchezza, mentre illusoriamente si è pensato che l’obiettivo fosse quello di rendere accessibili le merci, abbandonando completamente il concetto di uguaglianza sociale.

Ammesso e non concesso che questa possa essere considerata come una forma di uguaglianza bisogna tenere a mente che la libera circolazione delle merci non le rende automaticamente accessibile a tutti, anzi nella maggioranza dei casi si tratta di una mera illusione, poiché la merce prodotta dalla globalizzazione (venduta comunque ad un costo più alto di quello che costa per produrla) impoverisce e non arricchisce l’individuo del ceto medio.

Detto in parole povere, il fatto che tutti posseggano un Iphone non significa che tutti sono ricchi ma che alcuni si sono impoveriti indebitandosi per poter avere accesso a quella merce che, illusoriamente lo rende uguale al produttore di quella merce stessa.

La globalizzazione di per se fonda la sua concezione di libertà sulla concessione di maggiori libertà individuali (la libertà sessuale o la libertà di accesso alle merci e non ai mezzi di produzione sono chiari esempi di libertà individuale e non collettiva) restringendo di fatto quelle che sono le libertà collettive (sanità pubblica, scuola pubblica, libera circolazione delle idee e dei saperi).

La scelta di una (parte) della sinistra di cercare di governare i processi della globalizzazione si è rivelata fallimentare: i processi della globalizzazione (così come quelli del capitalismo) se lasciati liberi sono strutturati per alimentare quello che Marx definiva conflitto di classe, allo stesso modo la sinistra “radicale” (quella che si richiama ai principi del socialismo di stampo sovietico) ha commesso l’errore di sostituire la classe operaia con la classe minoranza il che non ha semplicemente congelato quello che doveva essere il dibattito necessario per costruire un nuovo modello di sinistra.

Una sinistra che non si propone si superare il capitalismo ma che sfrutta il capitalismo per eliminare le disuguaglianze create dal capitalismo stesso, superando così un modello di globalizzazione sostanzialmente sbagliato.

Cercheremo con i prossimi articoli di delineare un futuro possibile, un modo per ripensare le strategie e delle politiche della “sinistra moderna”.

Il Partito democratico, ovvero la politica delle occasioni perdute e le prospettive per cambiare

La attuale crisi politica in corso è solo l’ultima di una serie politiche che abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni.

Dal Governo Monti in poi (2011-2013) abbiamo vissuto a fasi alterne una crisi di governo dietro l’altra e la sensazione costante di una profonda instabilità politica.

Complice una serie di legge elettorali (prima il cosiddetto Porcellum e poi il Rosatellum in funzione oggi) abbiamo vissuto come cittadini la politica nella più totale delle incertezze.

In questo profondo guado di crisi continue abbiamo diversi protagonisti in negativo, ma la mia attenzione oggi vorrebbe soffermarsi su uno di questi interlocutori: quel Partito Democratico nato nel 2007 con la narrazione del “partito a vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria e terminato in maniera ingloriosa nell’ultima esperienza a fare da ruota di scorta al Movimento Cinque Stelle (quello stesso Movimento Cinque Stelle che sino ad un anno fa accusava il PD di essere il “partito di Bibbiano”).

La lenta e progressiva (ed a mio avviso ancora non completata) trasformazione del Partito Democratico da “partito delle istituzioni” in “partito populista” ha portato ad un generale crollo della politica in Italia, da un lato aprendo la strada proprio al Movimento Cinque Stelle e dall’altra parte spalancando le porte al sovranismo della Lega di Matteo Salvini da una parte e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

In questo articolo cercheremo di suddividere la fase storica del Partito Democratico in tre momenti, tre occasioni perse per poter davvero cambiare la politica.

Il primo momento su cui ci dobbiamo soffermare è la nascita stessa del Partito Democratico, nato su spinta di Walter Veltroni a seguito della crisi di Governo dell’ultimo Governo Prodi del 2008.

Sin dalla sua nascita il Partito Democratico avrebbe dovuto avere due obiettivi: completare il processo di costruzione di una “sinistra istituzionale” da una parte e dall’altra completare il processo di superamento della fase “post-comunista” iniziato con il Congresso del 1992 e la nascita del Partito Democratico della Sinistra.

Ricordo ancora che in quei giorni militavo nei Democratici di Sinistra e mentre si apprestava il Congresso rispondevo alla domanda che molti miei amici mi ponevano (la domanda era “è davvero necessario?”) spiegando quali erano le ragioni di una simile scelta politica e quello che volevamo fare e che cosa proponevamo.

Un partito che fosse di sinistra, ma che allo stesso tempo fosse in grado di aprirsi ai movimenti ed alle realtà locali, come Arci, Anpi, associazioni varie di cittadini e tutte quelle realtà che si muovevano al di fuori della realtà politica dei partiti.

Il Partito avrebbe dovuto essere il punto di raccordo tra la società che stava cambiando e le istituzioni che invece faticavano ad accettare e comprendere quel cambiamento.

Un partito plurale, aperto alle novità, difensore di ogni forma di diversità sia essa di sesso, religione, colore di pelle ceto sociale. Allo stesso tempo il partito avrebbe dovuto portare avanti una battaglia per abolire il precariato dal mondo del lavoro (in seguito si sarebbe parlato di redistribuzione della ricchezza) e tutela dei lavoratori, pensando però allo stesso tempo di allargare le forme di tutela anche e soprattutto alla piccola e media impresa che sino a quel momento non era stato mai considerato “parte del mondo del lavoro”.

Il progetto iniziale del Partito Democratico era dunque quella vecchia idea di “superare” il conflitto tra capitale e lavoro e di conseguenza costruire una sinistra che potesse essere parte del cambiamento della globalizzazione allora al suo massimo. L’idea di per sé non era sbagliata, l’errore è stato considerare che si potesse fare “superando le ideologie” senza rendersi conto che senza ideologia non fosse possibile cambiare le cose. Lo stesso liberismo di per sé è un’ideologia, non si può parlare di fase post ideologica facendo riferimento ad una singola ideologia.

Questo il primo errore. Il secondo (commesso sempre nella fase iniziale del partito) è stato pensare di poter cambiare le istituzioni dall’interno, o meglio ancora di poterlo fare da soli.

La vocazione maggioritaria delle elezioni del 2008 si è scontrato con la coalizione di centrodestra (che pur avendo dato vita al Popolo delle Libertà rimaneva una coalizione di Governo contro un singolo partito). Il risultato fu comunque degno di nota: al suo primo mandato il PD ottenne il 34% dei voti, una buona iniezione di fiducia per un partito alla prima prova elettorale.

L’idea di Pierluigi Bersani era piuttosto semplice: riportare indietro le lancette del partito, mettendo in piedi un progetto più vicino alla socialdemocrazia classica che non al kennedysmo di ispirazione veltroniana (tutto in salsa italiana) cercando allo stesso tempo di tenere in piedi il rapporto con la parte cattolica, rapporto che stava seriamente iniziando a logorarsi.

Quando è riuscito a rimettere in piedi il partito Bersani ha deciso di fare il passo successivo: la foto di Vasto, quella con Nichi Vendola e Antonio di Pietro avrebbe dovuto essere l’architrave su cui ricostruire un progetto di centrosinistra in vista delle prossime elezioni. Insomma, abbandonata ogni vocazione maggioritaria il Partito decideva di tornare alle alleanze (sebbene ristrette). Eravamo a cavallo della caduta del Governo Berlusconi e molti a sinistra sognavano la “spallata” a Berlusconi, sognavano finalmente di poter sconfiggere politicamente il nemico di sempre e tornare al Governo con un centrosinistra unito.

Seconda occasione perduta: al momento di decidere se andare al voto anticipato o sostenere il Governo tecnico proposto da Napolitano il PD decise di sostenere il Governo Monti. Certo, si disse che all’epoca fosse necessario ma questa rimane forse una delle pagine più strane della storia del Partito Democratico: l’appoggio acritico a molti dei provvedimenti del Governo Monti portò ad un progressivo allontanamento delle masse popolari dal partito (e soprattutto delle masse di lavoratori) che lentamente iniziarono a migrare verso altri lidi. Allo stesso tempo, il lento logorio a cui era soggetto il PD non faceva che rafforzare Berlusconi che riuscì a far passare sé stesso prima come vittima di una congiura di Palazzo poi come Salvatore della Patria dalla macelleria sociale del Governo Monti.

Risultato? Alle elezioni in Partito Democratico crolla a pochi metri dal traguardo prendendo il 21% così come il PDL e soprattutto come il Movimento Cinque Stelle. A questo punto Bersani entra nel pallone: convinto di poter governare con i Cinque Stelle in una patetica (quanto inutile) diretta streaming viene preso in giro tutto il tempo da Beppe Grillo che non ha nessuna intenzione di andare a governare. Del resto il Movimento Cinque Stelle era al suo primo mandato elettorale, nessuno dei parlamentari entrati aveva un minimo di esperienza di un’aula parlamentare e piuttosto difficilmente Grillo sarebbe riuscito a controllare i suoi se si fossero alleati con il Partito Democratico.

Le elezioni del 2013 coincidono anche con la scadenza del mandato del Presidente della Repubblica eletto, Giorgio Napolitano e il Partito Democratico ha di nuovo il mandato per poter rinnovare il Paese.

Quando si doveva decidere il nome per il Presidente della Repubblica, il primo nome che venne fatto fu quello di Franco Marini, un nome che non era destinato a scaldare la platea e che infatti non passò (lo stesso Segretario del PD Matteo Renzi lo bocciò subito). Il secondo nome fu quello di Romano Prodi (Anche questo bocciato). Niente male, due delle figure più importanti del Partito Democratico bocciati in poco meno di una votazione.

Tutto mentre Bersani aveva in mano l’arma per stanare i Cinque Stelle ed allo stesso tempo dare quel segnale di innovazione politica che aveva promesso in campagna elettorale, bastava un nome: Stefano Rodotà. Ma quel nome non venne fatto e si decise di rieleggere Napolitano.

La terza occasione persa era stata poco prima di questo evento, un anno prima per la precisione. Il Partito Democratico aveva presentato due candidati alle primarie di primo livello: l’astro nascente del Partito Matteo Renzi e Pierluigi Bersani. Le idee di Renzi nelle primarie del 2012 erano innovative, si parlava di riforma del mercato del lavoro (non di Jobs Act, quello arriverà dopo), si parlava di scuola, si parlava di riformare la politica. Certo, la parola “rottamazione” non piaceva, ma era una rottura, un segnale importante per una politica immobile su posizioni antiche e vecchie.

Sappiamo come è finita l’esperienza di Renzi al Governo: il Jobs Act, la frantumazione del PD e la scissione, la mancanza di una classe dirigente all’altezza ha completato l’opera di distruzione del partito democratico iniziata probabilmente sin dalla sua nascita.

L’idea di costruire una forza liberal-democratica ormai è completamente fallita e nemmeno Matteo Renzi sembra essere in grado di rimettere in moto quel progetto, quel sogno.

Che fare allora? Dobbiamo rassegnarci a dover votare per altri anni per il meno peggio? Oppure dobbiamo impegnarci tutti per ricostruire il Paese partendo proprio dal ridare dignità alla politica?

Per rimettere in modo il Paese abbiamo bisogno di ridare vita ad un progetto politico che rimetta al centro il sogno italiano, quel sogno italiano degli anni del boom, quel sogno italiano che era nelle intenzioni di chi, nell’Ottocento sognava di ricostruire una nazione che per anni era stata calpestata e divisa.

Non abbiamo più tempo, non avremo altre occasioni per costruire qualcosa di nuovo in Italia, non avremo più tempo per ridare dignità ad un popolo che la sta sempre più perdendo.

La politica deve essere al servizio dei bisogni del cittadino, e non il cittadino al servizio della politica.

Possiamo uscire dalla crisi, questo articolo è un appello ai volenterosi, a tutti coloro che hanno voglia e visione per cambiare davvero le cose, cercherò di usare queste pagine per scrivere altre linee guida, altri progetti e altre idee. Anche se resterò da solo, anche se riuscirò a cambiare solo una sola persona, una sola visione, io continuerò a battermi, perché credo ancora nell’Italia e negli italiani.

Dio benedica l’Italia.

Stili di apprendimento, psicologia dietro la cattedra

“Stili di apprendimento” che cosa sono esattamente e come possono essere utilizzati al meglio da un docente? 

Prima di di iniziare a scrivere vi dico subito che non ho la pretesa di essere il migliore dei docenti ma semplicemente di condividere con quanti sono interessati alla formazione del corpo docente di fornire qualche indicazione su quella che è la mia esperienza “pratica” ed in qualche caso anche “teorica” del lavoro di insegnante. 

Spesso si è pensato che insegnare fosse semplicemente entrare in classe fornire una serie di nozioni agli studenti e che tutti potessero apprendere allo stesso modo, se non apprendevano erano loro a sbagliare di certo non era il metodo di approccio dell’insegnante ad essere errato. 

Quando si insegna bisogna sempre cercare di tenere da conto che ogni studente è una persona ed ogni persona apprende le cose in modo diverso rispetto ad altri.  Per questo la didattica recente ha elaborato un modello che viene definito di stili di pensiero utili per comprendere come apprendono gli studenti e quali possono essere i diversi approcci per diversi stili. 

Innanzi tutto andiamo nel dettaglio cosa intendiamo esattamente con il termine “stile di pensiero”? 

Uno stile di pensiero è un modo di pensare preferito. 

In qualità di individui non abbiamo un solo stile ma quello che viene definito “un profilo di stili”. 

Per questo motivo la didattica ha elaborato quella che possiamo definire una “teoria dell’autogoverno mentale” che cosa vuol dire esattamente? 

L’idea alla base della teoria dell’autogoverno mentale è che le forme di governo nel mondo non siano solo una mera coincidenza ma sono una forma di analogia tra l’organizzazione della mente del singolo e la nostra società. 

Per spiegare meglio il concetto utilizzeremo una terminologia “politica” o per meglio dire una terminologia legata alla forma di governo. 

Un Governo deve svolgere tre funzioni: 

  1. ESECUTIVA 
  2. LEGISLATIVA 
  3. GIUDIZIARIA. 

Applicando lo stesso criterio alle persone possiamo fare una suddivisione più o meno simile. 

PERSONE LEGISLATIVE

Possiamo raggruppare all’interno di questo gruppo quelle persone a cui piace fare le cose a modo loro, ovvero preferiscono stabilire da sole “cosa devono fare” e soprattutto “come farlo”. 

All’interno di questo gruppo possiamo mettere creativi, grafici, e tutte quelle cose che hanno a che fare con la “fantasia”- Questo stile tende a favorire la “creatività” rispetto alla “praticità”. 

PERSONE ESECUTIVE

Rientrano in questa categoria tutte quelle persone che sono propense a seguire le regole. Amano “colmare lacune nelle strutture esistenti” piuttosto che creare, potremmo dire che in questo gruppo rientrano avvocati, dirigenti, politici e tutti quei mestieri in cui si necessita di un “ordine mentale preciso”. 

PERSONE GIUDIZIARIE

All’ultima categoria appartengono tutte quelle persone a cui piace valutare le regole e le procedure, che tendono a preferire problemi che si possono analizzare e che possono essere considerati come esistenti. In questa categoria possiamo mettere storici, filosofi, matematici, fisici. 

Ad ognuno di questi stili corrisponde una tipologia di persona, per la precisione ne abbiamo tre: Monarchica, gerarchica, oligarchica, anarchica andiamo a vedere nel dettaglio le caratteristiche di queste tre persone: 

PERSONA MONARCHICA

Si tratta di un individuo risoluto, che si lancia nelle imprese con tutto sé stesso in qualunque impresa o interesse e che tende a non permettere a nessuno di frapporsi tra lui e la risoluzione del problema. 

PERSONA GERARCHICA

Ha una gerarchia di obiettivi e riconosce la necessità di stabilire delle priorità, dato che non tutti gli obiettivi possono essere raggiunti, o per lo meno non essere raggiunti equamente bene. 7

PERSONA OLIGARCHICA

Assomiglia per molti versi alla persona gerarchica nella misura in cui desidera fare più di una cosa nello stesso cornice temporale, ma a differenza di queste, possono essere motivate da diversi obiettivi. 

PERSONA ANARCHICA

Sembra essere motivata di un miscuglio di bisogni e degli obiettivi che può risultare distinguere tanto a lei quanto agli altri. 

Ognuno di questi stili racconta di una persona con un proprio stile di apprendimento ed ognuna di queste persone ha dunque dei bisogni specifici per apprendere al meglio e sfruttare le proprie potenzialità. 

Per sfruttare al meglio le potenzialità di ogni individuo ovviamente un bravo insegnante dovrebbe innanzi tutto conoscere queste tipologie di persone e poi cercare di valorizzare le capacità specifiche di ogni studente. Perché questo sia possibile è necessario innanzi tutto che il docente deve essere anche un po’ psicologo per comprendere come ogni studente apprende ed allo stesso tempo deve anche avere una capacità di intervenire sui bisogni di ogni singola persona. 

Torneremo ancora sull’argomento “stili di apprendimento” e “tipologia di persone” provando ad elaborare per ogni stile un proprio stile di apprendimento, ricordando che non si tratta di un modello assoluto e generale e che non vuole assolutamente avere un intento polemico ma solo didattico e pedagogico. 

Insegnamento e formazione, una necessità nel mondo che cambia

Insegnare oggi diventa sempre più difficile. Lavorando nel campo dell’insegnamento mi sono reso conto che utilizzare “vecchi schemi” che un tempo erano efficaci oggi può essere non solo inefficace ma anche dannoso per la formazione dei ragazzi. 

Il mondo di oggi è molto più veloce rispetto a quello del passato e pensare che si possa ancora insegnare secondo il vecchio schema del docente che siede ex cathedra è una utopia. 

Computer e smartphone hanno permesso un accesso sempre più diretto alle informazione, rendendo da un lato il lavoro di ricerca più semplice ma dall’altra ha reso più complesso il lavoro dell’insegnante. 

La velocità di accesso alle informazioni ha portato ad un conseguente calo da parte dello studente alla comprensione di concetti complessi con la conseguenza che alcune metodologie didattiche usate sino a questo momento risultano essere inefficaci e inutili ai fini propri della didattica. 

Ovviamente questo comporta che insegnare diventa una vera e propria missione ed il corpo docente deve assumere un ruolo sempre maggiore nella formazione dell’individuo. Perché questo sia possibile è necessario creare una figura di insegnante sempre più professionale, orientato allo studio di quelle che sono le nuove tendenze dell’insegnamento e le nuove frontiere della tecnologia. 

Per questo ho deciso di aprire su questo blog una nuova sezione (anche se mi ci vorrà del tempo per mettere articoli vista la complessità dell’argomento) in cui cercheremo di occuparci anche dell’aspetto pratico dell’insegnamento, cercando di capire (e spiegare) non solo quelle che sono le nuove tendenze ma anche e soprattutto i diversi approcci che la psicologia ha cercato di dare all’insegnamento. 

Storia, maestra di vita (se insegnata nella giusta maniera…)

storia

La notizia che sia stato tolto il tema di storia dagli esami di maturità è di pochi giorni fa.

Di per sé la notizia è passata quasi sotto silenzio, poche parole in un comunicato stampa del Ministro della Pubblica Istruzione e poco spazio nei telegiornali nazionali, altre erano le notizie importanti in quei giorni.

Eppure, la notizia avrebbe meritato tutt’altro rilievo da parte della stampa, avrebbe dovuto essere oggetto di dibattito da parte degli “esperti” , quelli che si reputano essere ancora “intellettuali”, coloro che difendono il sapere.

L’oggetto del dibattito non dovrebbe essere però “è giusto eliminare il tema di storia dalla maturità?”, la domanda posta in tal modo avrebbe potuto dar vita ai soliti dibattiti tra “esperti” a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.

La domanda che invece ci sarebbe dovuti porre sarebbe dovuta essere: ha ancora valore una storia insegnata come viene insegnata oggi nelle scuole superiori?

Innanzi tutto per rispondere a questa domanda si dovrebbe una volta per tutte chiarire un equivoco alla base dello studio della storia: lo studio della storia non è finalizzato all’imparare a memoria qualche data, lo studio della storia dovrebbe invece essere innanzi tutto un prezioso strumento per analizzare e comprendere la realtà che ci circonda partendo proprio dagli eventi storici per arrivare alla comprensione dell’attualità e del mondo circostante.

Perché questo sia possibile è necessario che nelle scuole superiori (almeno nel triennio che porta agli esami di maturità) si campi approccio e metodologia dello studio della storia, non più un mero imparare date a memoria ma fornire allo studente tutti gli strumenti per comprendere un dato evento storico e comprendere le implicazioni che questo evento ha avuto nell’attualità.

Troppo spesso la storia viene insegnata come se fosse una semplice sequenza di eventi senza concatenazione alcuna mentre chi studia a fondo la storia può affermare che sia tutto il contrario: in storia tutto è consequenziale e nulla avviene per caso, ogni evento ne presuppone un altro ed ogni evento a sua volta è stato preceduto da qualcos’altro. Proviamo a questo proposito – per chiarire meglio il punto – a fare un esempio concreto:

EVENTO UNO: LA SECONDA GUERRA MONDIALE

EVENTO DUE: LA GUERRA FREDDA

Possiamo affermare con certezza assoluta che senza il primo ci sarebbe stata la seconda? E possiamo affermare che la storia nel nostro secolo (sino al crollo del Muro di Berlino) avrebbe avuto lo stesso corso senza gli eventi della Guerra Fredda? Ed ancora, possiamo affermare che la storia d’Italia (così come quella di tante altre nazioni) non sarebbe stata condizionata dagli eventi della Guerra Fredda?

La tendenza a pensare alla storia non come uno strumento per analizzare la realtà circostante ma come una materia a sé stante di fatto è quanto rende lo studio della storia inutile nelle scuole.

Ripensare invece le categorie di come la storia viene insegnata può essere la base per quella riforma del sistema scolastico sempre pensata e mai realizzata.

Non serve insomma cancellare il tema di storia per riformare la storia, basta dare alla storia l’importanza che merita all’interno del sistema scolastico e stabilire una volta per tutte che cosa voglia davvero dire “historia magistra vitae”. 

Manuale politico per una (sana) e civile discussione politica (ovvero, le dieci categorie di interlocutori in politica)

A tutti sarà capitato almeno una volta nella vita di avere un parente, un amico, un conoscente, un ospite a caso durante la cena, che smania dalla voglia di parlare di politica non appena si siede a tavola.

Appena sentono che uno fa anche solo una battuta di satira politica iniziano una discussione che è una filippica al cui confronto quelle di Demostene sono orazioni di un balbuziente.

Visto che mi capita spesso di discutere di politica (con diverse persone) posso fare un elenco piuttosto preciso delle persone con cui ci si trova a discutere. Alcuni sono elettori di un partito, mentre altri appare chiaro che hanno le idee molto confuse (per cui sarà anche confuso il gruppo in cui raggrupparli).

  1. L’Elettore dei Cinque Stelle 

Di solito la tipologia di elettore del Movimento Cinque Stelle è variabile come sono variabili le temperature nel mese di marzo.

La costante delle loro discussione politica è: “ci prendono tutti in giro!”.

Di solito l’elettore medio del Movimento Cinque Stelle crede a qualunque teoria di complotto che venga propinata dal blog di Grillo, dall’esistenza delle sirene al progetto di sterminio della razza umana per colpa dei poteri forti.

Di solito quando si cerca di capire meglio chi diavolo siano questi dannati poteri forti la risposta è “Loro! Sono Loro!” e te ne sai quanto prima e sai anche di essere corrotto e colluso solo per aver votato diversamente da quello che votano loro.

Di solito gli elettori dei Cinque Stelle non sostengono un leader (Secondo loro non esistono) ma alcuni sono sostenitori indefessi di un leader del Movimento e lo osannano sino alla morte che nemmeno i sudditi di Clodoveo ai tempi della leggenda che il re curasse gli scrofolosi.

In particolare i beneficiari di questo vero e proprio culto della personalità sono Di Maio e Di Battista. Non si capisce bene perché abbiano tanto successo, ma indiscutibilmente sono loro i “Castore e Polluce del Movimento Cinque Stelle”.

Consigli per discutere con loro

Innanzi tutto è sconsigliato muovere qualunque critica al Governo. Le risposte varierebbero da “e allora il PD?” oppure “colpa dei Governi precedenti” o peggio ancora “lo vogliono gli italiani, noi siamo il governo del cambiamento”. Noi, come se anche quello che sta parlando con voi fosse membro del Parlamento e potesse decidere.

La seconda cosa da fare per parlare con loro è evitare di menzionare Renzi per qualunque motivo. Percepito come il “male assoluto” non viene accusato solo di aver ucciso la madre, poi è colpevole di qualunque cosa. Per avere una sana discussione con un elettore Cinque Stelle di politica, basta parlare di altro.

2. Elettore del PD 

Così come l’elettore dei Cinque Stelle l’elettore del Partito Democratico è ottuso come un mulo sordo ogni volta che si parla di Partito Democratico e degli errori che ha commesso.

A differenza dell’elettore grillino che è ottimista sul futuro l’elettore del PD ogni volta che si affronta una discussione politica prevede che il Governo in carica (a meno che ovviamente sono sia del PD) porterà morte e distruzione tra le popolazioni scatenando una Guerra al cui confronto la Battaglia del Fosso di Helm è una scaramuccia tra condomini.

Secondo l’elettore del PD qualunque cosa viene fatta è sbagliata per il semplice fatto che non la ha fatta il PD.

Di solito l’elettore del PD (e quindi la persona con cui si discute) ha la tendenza ad identificarsi nel Segretario del suo partito, anche se fino a due giorni prima ne aveva detto peste e corna. Una categoria a parte di elettori del PD è quella dei renziani, una specie ontologicamente protetta che difende Renzi a qualunque costo anche se durante la discussione nessuno lo ha menzionato, anzi si stava parlando di altro, anzi nella maggior parte dei casi non si stava nemmeno parlando di politica.

Il “renziano” ha la particolarità di attendere sempre le mosse di Renzi e di seguire ogni diretta di Renzi dicendo cose del tipo “che grande Matteo!” e “ti amo Matteo!” anche se Renzi ha aperto Twitter per dire “buongiorno”. Di solito il renziano considera “traditori” tutti quelli che per un qualche motivo la pensano diversamente da Renzi su un argomento qualunque.

La particolarità del renziano è quella di prendere bene qualunque critica, accusando l’interlocutore di essere “venduto, vecchio comunista e rincoglionito, fallito di m@*§ che no capisce quanto solo Renzi possa salvare il Partito Democratico” .

Consigli per discutere con loro 

Non è possibile avere una discussione “sensata” con un elettore del PD in qualunque campo della politica. Questo perché in ogni loro presa di posizione sono capaci di essere allo stesso tempo più stalinisti di Stalin e più liberisti di Milton Friedman e tutto questo nella stessa affermazione. Il modo migliore per discutere con loro è quello di “dire sempre sì”, sperando che prima o poi tornino al Governo ed allora saranno contenti.

3. L’elettore di Salvini 

Un vero e proprio mistero ontologico.

Non si capisce bene perché un elettore a Napoli ad esempio debba votare Salvini e non si capisce nemmeno perché debba farlo un elettore di Roma o Milano.

Anche perché il programma elettorale di Salvini e della Lega si potrebbe riassumere in “rimandiamoli a casa loro!” senza specificare chi, che cosa, o perché.

Di solito l’elettore di Salvini ritiene che la colpa dei mali del mondo sia degli immigrati (a differenza dell’elettore Cinque Stelle che pensa che la colpa sia del PD o dell’elettore PD che pensa che sia di tutti tranne che del PD). Crollano le pensioni? La colpa è degli immigrati. Mancano i posti di lavoro? Sono gli immigrati che li rubano agli italiani. Di solito l’elettore di Salvini ha le discussioni più accese proprio con l’elettore del PD il quale sostiene invece che senza gli immigrati non ci potremmo nemmeno pagare le pensioni.

Consigli per discutere con loro

Di solito basta partire con “premesso che gli immigrati rubano tutti” non si riuscirà lo stesso a discuterci ma almeno è un passo avanti.

Elettore deluso da tutto e tutti 

Sono la categoria peggiore con cui fare una discussione politica perché a priori la loro idea sarà contraria alla vostra, qualunque essa sia.

Voi siete di destra? Lui sarà inevitabilmente di sinistra. Voi siete dei sinistra? Lui sarà nostalgico della destra. Qualunque cosa voi diciate la premessa della discussione con lui sarà “non voto da quindici anni” (non si sa perché ma sono sempre quindici anni che non votano) oppure “quest’anno ho votato Tizio, ma tanto non cambia niente”.

Anche qui possiamo trovare una sotto categoria: sono i delusi della “sinistra”.

Sono quelli che si trovano a festeggiare ogni volta che vince Podemos, Syriza, la Linke e sperano che prima o poi tocchi anche all’Italia. Discutere con questa categoria di delusi è impossibile.

Consigli per discutere con loro 

Fate in modo da farli sentire meno soli ed abbandonati. Ad ogni loro affermazione commentate con un “d’altra parte è così” oppure “che cosa ci vuoi fare?” “eeehhhhh” (che tronca qualunque discussione.

Il nostalgico 

Il nostalgico è un’altra delle categorie “a rischio” durante le discussioni politiche. Di solito sono nostalgici quasi sempre dei tempi andati. Di solito possono essere nostalgici di Berlinguer, di Fini, di Mussolini e di qualunque cosa non è presente al momento odierno. Sono i teorizzatori del “si stava meglio quando si stava peggio”, sono quelli che ogni frase la chiudono con un sospiro e dicono “non ci sono più i politici di una volta”. La particolarità della categoria dei nostalgici è che di solito quando le persone di cui provano nostalgia erano in vita loro erano i suoi più feroci oppositori.

Consigli per discutere con loro

Elogiate qualunque sia il personaggio che loro elogiano, anche se vi sta profondamente sulle palle, sospirate come loro, saranno contenti e la prossima volta potreste evitare una scomoda discussione.

E VOI CHE TIPOLOGIA DI PERSONE CONOSCETE? AGGIUNGETE TIPOLOGIE E TROVATE UNA SOLUZIONE PER DISCUTERE CON LORO.