La conversione dell’Innominato, una delle pagine più toccanti della Letteratura Italiana

Per intere generazioni di studenti i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni è stato un vero e proprio incubo. Spesso letto per “costrizione” e spiegato in maniera pedissequamente didattica il romanzo di Manzoni è diventato uno dei più odiati dagli italiani.

Eppure, nella sua complessità (non si tratta sicuramente di un romanzo di facile lettura me ne rendo conto) il romanzo riesce a colpire per la toccante sensibilità di alcuni episodi e per la grande capacità di Manzoni di “raccontare” storie e personaggi che (se “raccontati bene”) possono essere parte dell’immaginario collettivo.

Uno dei personaggi in questione è senza ombra di dubbio la figura dell’Innominato che ci viene presentata nei capitoli che vanno dal XX al XXIII. Ammetto che la presentazione non è delle migliori: l’Innominato viene descritto come il “peggiore dei criminali”, una di quelle figure che oggi chiameremmo “boss” che incute timore ai disgraziati quando ai potenti. Eppure Manzoni riesce sin da subito a mostrarci una figura complessa, piena di dubbi e con la volontà di mettere in discussione la propria vita ed il proprio operato. Già nel capitolo XX Manzoni inizia a “preparare” il lettore ad una possibile redenzione del personaggio (protagonista di un vero e proprio romanzo nel romanzo) visto che possiamo leggere:

Era aspettata dall’Innominato, con un’inquietudine, con una sospension d’animo insolita. Cosa strana! quell’uomo, che aveva disposto a sangue freddo di tante vite, che di tanti suoi fatti non aveva contato per nulla i dolori da lui cagionati, se non qualche volta per assaporare in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora, nel mettere le mani addosso a questa sconosciuta, a questa povera contadina, sentiva come un ribrezzo, direi quasi un terrore.

Già in questo breve passaggio possiamo notare come l’Innominato inizi ad avere dei dubbi “etici” sulla sua vita. Colpisce anche la scelta dei termini utilizzati dal Manzoni, a partire proprio dalla parola finale: terrore. Come a dire, colui che ha terrorizzato tutta la Lombardia con i suoi crimini prova a sua volta terrore all’arrivo di Lucia, rapita per una promessa fatta a Don Rodrigo ed ennesimo crimine commesso dall’Innominato.

L’Innominato ci viene presentato (sin da questo breve passaggio) come una figura tormentata, complessa, alla fine quasi della sua vita e per questo pieno di dubbi, costretto a fare un bilancio della propria vita e chiedendosi “che cosa ho fatto per essere ricordato? Cosa ho fatto per meritare la salvezza?” la risposta “niente, hai fatto solo del male” è un vero e proprio pugno allo stomaco, una risposta che lo atterrisce e lo spaventa, una risposta interiore che lo costringe e restare da solo con sé stesso e scoprire che non si piace.

La conversione dell’Innominato ci viene raccontata da Manzoni con un crescendo di colpi di scena: dalla volontà di ordinare ai suoi bravi di mandare direttamente Lucia da Don Rodrigo e togliersi la “seccatura”. Una scelta egoistica dettata da un motivo “nobile” quello della redenzione, anche se ancora viziata dal proprio egoismo.

Il punto di svolta è forse proprio l’incontro con Lucia, con la sua bontà. Le domande che si affollano nella mente dell’Innominato durante l’incontro con Lucia sono domande che scuotono la mente del criminale. Come può una persona che è stata rapita e sequestrata, a cui è stato impedito il matrimonio parlare di “perdono”? Come può una simile persona riporre la fiducia in Dio se quello stesso Dio la ha abbandonata? Tutti questi pensieri si affollano nella mente tormentata dell’Innominato sino al punto di svolta vero e proprio: il suono delle campane a festa che annuncia l’arrivo del cardinale Federigo Borromeo.

Qui siamo al secondo colpo di scena: l’incontro tra i due è indubbiamente una delle pagine più belle della letteratura italiana. Potremmo definire l’incontro come “l’incontro del diavolo con l’acqua santa”. Prima di andare avanti però parliamo un attimo della figura del cardinale. Ci troviamo sin da subito di fronte ad una figura che ha un alone di santità attorno a sé. Già quando viene annunciata la presenza dell’Innominato dal cappellano il quale (visto che santo non è) prova timore di fronte a quella figura, non vuole farla entrare perché è un peccatore che potrebbe mettere a rischio la vita del cardinale, il quale invece vive la fede come una missione e quindi è ben contento di accogliere una “pecorella smarrita” che vuole tornare all’ovile. Salvare un’anima come quella dell’Innominato nella sua visione del mondo vale molto di più che salvare mille anime di “fedeli”. In questo passaggio Manzoni tra le altre cose esprime la sua visione della religione, vista come elemento salvifico dell’umanità intera e come vero e unico elemento in grado di “cambiare” realmente le cose nel mondo. Il ruolo della Divina Provvidenza, sempre molto presente nel romanzo di Manzoni si vede chiaramente anche in questo caso. La salvezza di Lucia arriverà proprio per mano di colui che è il peggiore di tutti i cattivi presentati sino a questo momento, da un animo malvagio, che non ha mai conosciuto il bene. Arriva per mano del cardinale, che con la sua sola presenza e con un semplice gesto riesce a redimere l’animo corrotto dell’Innominato, il quale dopo aver confessato i suoi peccati (non una confessione diretta, ma una vera e propria “ammissione di colpa”) si abbandona completamente sulla spalla del cardinale e piange. Un pianto liberatorio, di inesprimibile felicità che segna una rinascita morale e spirituale che sarà fondamentale nel procedere della storia.

Possiamo dire che l’episodio della conversione dell’Innominato è quel punto di svolta nella storia che si attendeva dall’inizio in attesa del lieto fine (anche a causa di questo Manzoni lo mette nella parte centrale del romanzo).

Da un punto di vista emotivo, possiamo lasciarci con un commento: che valore ha un abbraccio?

Stili di apprendimento, psicologia dietro la cattedra

“Stili di apprendimento” che cosa sono esattamente e come possono essere utilizzati al meglio da un docente? 

Prima di di iniziare a scrivere vi dico subito che non ho la pretesa di essere il migliore dei docenti ma semplicemente di condividere con quanti sono interessati alla formazione del corpo docente di fornire qualche indicazione su quella che è la mia esperienza “pratica” ed in qualche caso anche “teorica” del lavoro di insegnante. 

Spesso si è pensato che insegnare fosse semplicemente entrare in classe fornire una serie di nozioni agli studenti e che tutti potessero apprendere allo stesso modo, se non apprendevano erano loro a sbagliare di certo non era il metodo di approccio dell’insegnante ad essere errato. 

Quando si insegna bisogna sempre cercare di tenere da conto che ogni studente è una persona ed ogni persona apprende le cose in modo diverso rispetto ad altri.  Per questo la didattica recente ha elaborato un modello che viene definito di stili di pensiero utili per comprendere come apprendono gli studenti e quali possono essere i diversi approcci per diversi stili. 

Innanzi tutto andiamo nel dettaglio cosa intendiamo esattamente con il termine “stile di pensiero”? 

Uno stile di pensiero è un modo di pensare preferito. 

In qualità di individui non abbiamo un solo stile ma quello che viene definito “un profilo di stili”. 

Per questo motivo la didattica ha elaborato quella che possiamo definire una “teoria dell’autogoverno mentale” che cosa vuol dire esattamente? 

L’idea alla base della teoria dell’autogoverno mentale è che le forme di governo nel mondo non siano solo una mera coincidenza ma sono una forma di analogia tra l’organizzazione della mente del singolo e la nostra società. 

Per spiegare meglio il concetto utilizzeremo una terminologia “politica” o per meglio dire una terminologia legata alla forma di governo. 

Un Governo deve svolgere tre funzioni: 

  1. ESECUTIVA 
  2. LEGISLATIVA 
  3. GIUDIZIARIA. 

Applicando lo stesso criterio alle persone possiamo fare una suddivisione più o meno simile. 

PERSONE LEGISLATIVE

Possiamo raggruppare all’interno di questo gruppo quelle persone a cui piace fare le cose a modo loro, ovvero preferiscono stabilire da sole “cosa devono fare” e soprattutto “come farlo”. 

All’interno di questo gruppo possiamo mettere creativi, grafici, e tutte quelle cose che hanno a che fare con la “fantasia”- Questo stile tende a favorire la “creatività” rispetto alla “praticità”. 

PERSONE ESECUTIVE

Rientrano in questa categoria tutte quelle persone che sono propense a seguire le regole. Amano “colmare lacune nelle strutture esistenti” piuttosto che creare, potremmo dire che in questo gruppo rientrano avvocati, dirigenti, politici e tutti quei mestieri in cui si necessita di un “ordine mentale preciso”. 

PERSONE GIUDIZIARIE

All’ultima categoria appartengono tutte quelle persone a cui piace valutare le regole e le procedure, che tendono a preferire problemi che si possono analizzare e che possono essere considerati come esistenti. In questa categoria possiamo mettere storici, filosofi, matematici, fisici. 

Ad ognuno di questi stili corrisponde una tipologia di persona, per la precisione ne abbiamo tre: Monarchica, gerarchica, oligarchica, anarchica andiamo a vedere nel dettaglio le caratteristiche di queste tre persone: 

PERSONA MONARCHICA

Si tratta di un individuo risoluto, che si lancia nelle imprese con tutto sé stesso in qualunque impresa o interesse e che tende a non permettere a nessuno di frapporsi tra lui e la risoluzione del problema. 

PERSONA GERARCHICA

Ha una gerarchia di obiettivi e riconosce la necessità di stabilire delle priorità, dato che non tutti gli obiettivi possono essere raggiunti, o per lo meno non essere raggiunti equamente bene. 7

PERSONA OLIGARCHICA

Assomiglia per molti versi alla persona gerarchica nella misura in cui desidera fare più di una cosa nello stesso cornice temporale, ma a differenza di queste, possono essere motivate da diversi obiettivi. 

PERSONA ANARCHICA

Sembra essere motivata di un miscuglio di bisogni e degli obiettivi che può risultare distinguere tanto a lei quanto agli altri. 

Ognuno di questi stili racconta di una persona con un proprio stile di apprendimento ed ognuna di queste persone ha dunque dei bisogni specifici per apprendere al meglio e sfruttare le proprie potenzialità. 

Per sfruttare al meglio le potenzialità di ogni individuo ovviamente un bravo insegnante dovrebbe innanzi tutto conoscere queste tipologie di persone e poi cercare di valorizzare le capacità specifiche di ogni studente. Perché questo sia possibile è necessario innanzi tutto che il docente deve essere anche un po’ psicologo per comprendere come ogni studente apprende ed allo stesso tempo deve anche avere una capacità di intervenire sui bisogni di ogni singola persona. 

Torneremo ancora sull’argomento “stili di apprendimento” e “tipologia di persone” provando ad elaborare per ogni stile un proprio stile di apprendimento, ricordando che non si tratta di un modello assoluto e generale e che non vuole assolutamente avere un intento polemico ma solo didattico e pedagogico. 

Insegnamento e formazione, una necessità nel mondo che cambia

Insegnare oggi diventa sempre più difficile. Lavorando nel campo dell’insegnamento mi sono reso conto che utilizzare “vecchi schemi” che un tempo erano efficaci oggi può essere non solo inefficace ma anche dannoso per la formazione dei ragazzi. 

Il mondo di oggi è molto più veloce rispetto a quello del passato e pensare che si possa ancora insegnare secondo il vecchio schema del docente che siede ex cathedra è una utopia. 

Computer e smartphone hanno permesso un accesso sempre più diretto alle informazione, rendendo da un lato il lavoro di ricerca più semplice ma dall’altra ha reso più complesso il lavoro dell’insegnante. 

La velocità di accesso alle informazioni ha portato ad un conseguente calo da parte dello studente alla comprensione di concetti complessi con la conseguenza che alcune metodologie didattiche usate sino a questo momento risultano essere inefficaci e inutili ai fini propri della didattica. 

Ovviamente questo comporta che insegnare diventa una vera e propria missione ed il corpo docente deve assumere un ruolo sempre maggiore nella formazione dell’individuo. Perché questo sia possibile è necessario creare una figura di insegnante sempre più professionale, orientato allo studio di quelle che sono le nuove tendenze dell’insegnamento e le nuove frontiere della tecnologia. 

Per questo ho deciso di aprire su questo blog una nuova sezione (anche se mi ci vorrà del tempo per mettere articoli vista la complessità dell’argomento) in cui cercheremo di occuparci anche dell’aspetto pratico dell’insegnamento, cercando di capire (e spiegare) non solo quelle che sono le nuove tendenze ma anche e soprattutto i diversi approcci che la psicologia ha cercato di dare all’insegnamento.