Oggi è uscita su Repubblica online l’articolo di una recente intervista a Salvini dove il Ministro parla di una presunta riforma della scuola e dell’università dove viene abolito il valore legate del titolo di studio, ma cosa vuol dire esattamente “abolizione del titolo di studio?”.
Abolire il valore legale del titolo di studio vuol dire innanzi tutto che una laurea in Legge è l’equivalente di una laurea in Lettere.
Questo però è solo l’aspetto meno grave della questione. Visto che un titolo equivale ad un altro – essendo per esempio presa la laurea all’università di Reggio Calabria senza alcun valore legale rispetto ad una presa per esempio all’università di Bolzano – discriminante per l’assunzione ad un concorso pubblico potrebbe diventare ad esempio non più il titolo di studio la l’Università di provenienza, e non più come già avviene adesso lo specifico valore della laurea che tiene conto – per esempio del voto – e di tutte le altre componenti giuridiche.
I sostenitori dell’abolizione del valore legale del titolo di studio spingono proprio su questo punto perché a quel punto gli atenei sarebbero costretti a farsi concorrenza tra loro, dato che sarebbe compito del mercato selezionare le persone più in gamba e professionisti del settore.
Ancora: secondo i promotori, compito dello Stato dovrebbe essere quello di stilare una graduatoria delle università migliori in modo che quando lo Stato ha bisogno di attingere al personale delle sua amministrazioni lo faccia non sulla base del voto conseguito – che sino a questo momento ha messo tutti sullo stesso piano tutti i candidati ed i loro rispettivi atenei, ma in relazione all’università di provenienza.
Possiamo esemplificare ulteriormente questa situazione: un ateneo catalogato dall’ANVUR (Istituto di Valutazione delle Università) centesimo garantirebbe che i suoi avvocati sono da considerare superiori a quelli di un ateneo classificato 150 perché la preparazione sarebbe migliore e quindi sarebbero avvantaggiati in partenza. Per essere ancora più chiari (e ragionando sui nomi) potremmo dire che un laureato alla Bocconi con 100 sarebbe superiore (solo perché proviene dalla Bocconi) ad un laureato con 110 all’università di Reggio Calabria).
La parola d’ordine di questo sistema sarebbe insomma concorrenza, infatti per ottenere un ranking superiore le università dalle agenzie di valutazione le università sarebbero costrette a pagare meglio i propri insegnanti scegliendo tra i migliori per aumentare il proprio ranking. Infatti l’unica concorrenza possibile a quel punto sarebbe spostata solo sul delicato versante della docenza, dei professori migliori che verrebbero cooptati e blanditi con la promessa di stipendi più alti e non più su quello della parentela, dell’amicizia e della clientela.
Questo sistema – senza dubbio incentrato su un criterio molto più meritocratico degli attuali criteri di selezione – però ha un grosso ma: la creazione di università di serie A,B,C e oltre – insieme all’aumento esponenziale delle tasse in quelle università ritenute migliori creerebbe una sorta di selezione naturale basata non più sulla bravura effettiva e sulla voglia di riscatto dei ceti sociali meno abbienti. Ad essere danneggiati da questo sistema sarebbero soprattutto gli studenti delle università del Sud Italia, dove il reddito procapite e le sedi universitarie non sono particolarmente floride.
Una proposta avanzata è stata quella di copiare il modello americano, dove – una volta abolito il valore legale del titolo di studio – l’implementazione di Agenzie o di Associazioni professionali che avrebbero il compito di validare la laurea attraverso un esame specialistico. Molti di coloro che sono a favore fanno comunque notare che alcune lauree – come ad esempio medicina, ingegneria, architettura e quei diplomi che hanno a che fare con alte specializzazioni professionali – potrebbero rimanere fuori dalla riforma anche perché sarebbero competenze non assimilabili ad altre.