Iniziamo, come promesso, a pubblicare una serie di articoli per spiegare e comprendere la Costituzione Italiana.
Partiamo proprio dall’Articolo uno, tanto citato ma molto poco capito. Quello che cercheremo di fare in questa sede è portare a conoscenza non solo il testo dell’articolo ma anche provare a dare una spiegazione storica, politica e di filosofia del diritto sulle implicazioni che un articolo come l’Articolo 1 della Costituzione può avere sul nostro vivere quotidiano.
L’articolo per intero recita:
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
Cosa ci dice esattamente il primo articolo della nostra Costituzione?
Il primo articolo della Costituzione tende a fondere le due principali caratteristiche dello Stato italiano, nato dalla guerra di liberazione: l’Italia è una Repubblica ( a norma dell’articolo 139 è la sola parte che non può essere modificata in alcun modo) ed è, grazie al suffragio universale ed alle istituzioni che vengono descritte nella II parte del testo costituzionale, una Democrazia.
Per la precisione è una Democrazia partecipativa, il cui potere appartiene al popolo, formato da tutti i cittadini, che concorrono al governo ed all’amministrazione della cosa pubblica attraverso gli istituti ed i meccanismi previsti dell’ordinamento repubblicano (in seguito vedremo quali sono questi meccanismi e quali gli organi).
Inoltre, un altro punto da mettere in rilievo è come fondamento della democrazia non sia la proprietà, con i conseguenti privilegi dello Stato Liberale, ma il LAVORO, visto come un diritto – dovere di ciascuno per il progresso personale e sociale.
In sintesi, il primo articolo è quello su cui è impostato l’intero impianto della Costituzione italiana, i due principi su cui si fonda l’ordinamento repubblicano: il principio democratico ed il principio lavorista.
Per comprendere meglio questo primo articolo della nostra Costituzione è necessario fare innanzi tutto una premessa storica: la nostra Costituzione nasce dal compromesso di diverse parti politiche – quelle che durante il fascismo guidarono la Resistenza – che volevano dare una propria impronta alla costituzione, imprimendo i suoi principi proprio a partire dall’articolo uno.
Le forze in causa erano tra loro particolarmente differenziate, e trovare un punto di accordo non era tanto facile, del resto che cosa poteva accomunare socialisti, comunisti, cattolici, liberali e populisti (su quest’ultimo termine è doverosa una leggere parentesi: il populismo è un atteggiamento politico e culturale volto all’esaltazione del popolo sopra ogni cosa, sulla base di principi ispirati al socialismo; nel dibattito politico attuale viene spesso usato con accezione negativa confondendolo con il termine demagogia).
La discussione impegnò per mesi e mesi tutti i capi dei maggiori partiti e tutti i maggiori costituzionalisti.
Il compito di trovare la sintesi tra le varie posizioni venne affidata a MEUCCIO RUINI,(Reggio Emilia, 14 dicembre 1887- Roma, 6 marzo 1970) esponente del Partito Radicale Italiano (da non confondere con il Partito Radicale di Marco Pannella, nato da una scissione del Partito Liberale), Presidente del Comitato dei Settantacinque, il comitato che ebbe il compito di preparare la quasi totalità degli articoli prima che venissero sottoposti all’Assemblea.
Dunque, cosa decisero i nostri Padri Costituenti dopo lunga discussione? Che cosa esprime esattamente il nostro ARTICOLO UNO?
Innanzi tutto dichiara che l’Italia è una Repubblica democratica, e lo dice come prima cosa in assoluto. Quindi la Repubblica, la democrazia e l’Italia sono elementi non scindibili, esistono uno in funzione dell’altra. È bene tenere a mente questo concetto, perché si ricollega all’ultimo articolo della Costituzione, il 139, che dice:
La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Quindi, dimenticatevi che si possa tornare alla monarchia, la dittatura, l’impero, il consolato, o qualsiasi altra forma che non sia pienamente democratica e repubblicana.
Sempre nell’articolo uno (al primo comma) si sostiene che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro.
Un principio altamente nobile, non c’è che dire, il quale però esprime un concetto abbastanza debole, non affermando assolutamente nulla di esplicito se non una speranza, e non obbliga lo Stato a dare lavoro a tutti. Va tenuto a mente questo aspetto, perché proprio questo ha dato vita negli ultimi anni ad una serie di fraintendimenti che si fa molta fatica a superare.
Si tratta di una sintesi ideologica di parte del pensiero comunista, socialista e popolare, osteggiata peraltro nella sua formulazione (e nel suo posizionamento) da quasi tutti gli azionisti (esponenti del Partito d’azione) e che venne ideata da AMINTORE FANFANI, uno dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana che in questo modo concluse un dibattito prolungato che offrì in questo modo un compromesso alla parte comunista e socialista, i quali cedettero su alcuni punti che definivano i rapporti con la Chiesa, gli articoli sulla famiglia e l’istruzione, ed al momento in cui venne votato, sul Concordato.
Molto più interessante è invece il secondo comma, quello che doveva stabilire una volta per tutte a chi appartenesse la sovranità, ovvero: chi detiene il potere decisionale nell’Italia Repubblicana?
La sovranità apparteneva al Governo? No, nemmeno per idea. Era così durante il fascismo (e così sarebbe stato in molte riforme costituzionali proposte negli anni a venire). Al Parlamento, come avviene ad esempio negli Stati Uniti? Nemmeno. Il nostro – a differenza di quello americano – non è un Parlamento federale, il quale – a differenza di quello americano – viene rinnovato ogni cinque anni. Quindi, il vero detentore del potere, non poteva che essere lui: L’INTERO POPOLO ITALIANO.
A spiegare bene questo punto è l’onorevole GRASSI, uno dei costituenti che così scrive:
“Lo Stato, che è depositario del potere di comando, lo esercita attraverso gli organi del suo ordinamento; ma questi organi sono azionati e ricevono autorità e forma dal popolo che, direttamente o indirettamente, dà ad essi tutta la capacità della sua manovra”.
Lo stesso Ruini (che abbiamo già citato in precedenza) commentò in questi termini la decisione, commentando anche le parole che si dovevano utilizzare: “La sovranità risiede nel popolo, appartiene al popolo, emana dal popolo, è nel popolo, sta nel popolo eccettera. Stanco del dibattito, io mi sono rimesso alla Costituente per la scelta del verbo. Non inopportunamente è stato scelto appartiene al popolo; mentre emana dal popolo poteva far dubitare che, una volta emanato, non risiedesse più nel popolo”.
Anche la scelta della parola popolo non è una scelta casuale. Non si parla infatti di elettori, ma di tutti coloro che sono italiani, quindi: uomini, donne, bambini, neonati, e per alcune accezioni anche gli stranieri residenti sul nostro territorio (residenti a tutti gli effetti, è bene sottolinearlo).
Dunque, il fatto che la sovranità appartenga al popolo non deve essere un aspetto che può essere dimenticato o sottovalutato. Non sono i parlamentari o il Presidente del Consiglio a comandare: quelli sono solo i rappresentati del popolo, che hanno il compito di ascoltare e mettere in atto tutte le aspirazioni e desideri del popolo stesso.
Premesso tutto questo l’articolo uno dice anche un’altra cosa: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ovvero?
Innanzi tutto viene detto in maniera esplicita che gli strumenti e gli atti di sovranità popolare devono essere previsti dalla Costituzione e solo dalla Costituzione, e non possono essere altri se non quelli. Nessuno dunque può aggiungerne arbitrariamente di nuovi (tipo: non potete proporre il plebiscito, cioè una consultazione popolare per far approvare un certo comportamento o decisione) e nessuno può togliere o sminuire quelli esistenti. I quali in sostanza sono:
- Le Elezioni: Strumento attraverso le quali tutti i cittadini maggiorenni sono chiamati a scegliere i partiti ed i candidati che formeranno le assemblee legislative e recentemente anche con la scelta diretta di chi ci amministra – quindi sindaci ed organismi regionali – ma non chi ci governa (il che trasformerebbe la nostra repubblica in un organismo direttoriale)
- Il referendum abrogativo: Questa forma di referendum permette ai cittadini di eliminare una legge che non piace. Non importa che la legge sia giusta o sbagliata: è solo il “gradimento” del popolo che permette di eliminarla o meno. Comunque non possono essere soggetti a referendum le leggi fiscali ed i trattati internazionali (quindi… no, non si può fare un referendum per uscire dall’euro).
- Il sistema giudiziario in senso lato. Le sentenze del tribunale sono emesse in nome del Popolo italiano, ed anche se questa sembra essere solo una forma retorica, è invece un costante riferimento al fatto che la giustizia vada applicata solo nell’interesse e secondo lo spirito dell’intera comunità e non per favorire una parte o l’altra della comunità. Quindi, una sentenza che non rispondesse ai principi democratici della Costituzione non sarebbe valida, perché non potrebbe essere fatta in nome del popolo italiano il quale si RIFLETTE nella Costituzione.
Dunque, come abbiamo visto, nell’articolo uno si parla di lavoro solo ed esclusivamente di lavoro in maniera indiretta, sono altri gli articoli che parlano esplicitamente di LAVORO, ma dovrete aspettare, perché per oggi ci fermiamo qua.
Approfitto di queste ultime righe per aver avuto la pazienza di seguirmi fino a qui. ![quiz-costituzione](https://smirnoffsite.wordpress.com/wp-content/uploads/2018/02/quiz-costituzione.jpg)