L’ultimo Cavaliere (Il Re è morto, viva il Re!)

Mi sono preso qualche giorno di tempo per scrivere qualche considerazione sulla morte di Silvio Berlusconi.

Lo ho fatto perché in qualche modo ho dovuto “metabolizzare” la morte di colui che, volenti o nolenti, ha segnato la vita politica, sociale ed economica dell’Italia degli ultimi quarant’anni almeno. Inoltre, non ho commentato niente a caldo, non volendo prestarmi al gioco mediatico di chi lo ha osannato come un novello “Santo subito” e chi lo ha presentato come l’incarnazione dell’Anticristo.

Servirà tempo per superare il “berlusconismo” e ne servirà ancora di più per poter esprimere un giudizio equo su quella che è stata la figura di Silvio Berlusconi: imprenditore visionario, “grande statista”, uomo di pace, criminale, cantore dei vizi e delle virtù italiane, l’uomo che si è fatto da solo, Silvio Berlusconi è stato tutto questo.

Per anni ha incarnato il mito del self made man all’italiana, l’incarnazione dello spirito reaganiano del capitalismo con tutti i suoi vizi e le sue virtù. Quando si parla di Berlusconi non si può non tenere conto che le sue televisioni hanno plasmato la mente degli italiani, in qualche modo hanno narrato un Paese in cambiamento, smarrito dopo la fine della classe dirigente post-Tangentopoli.

Sul politico e sulla persona è stato detto tutto: sulle sue inchieste, sui suoi vizi, sulle sue gaffes, sulla fine inglorioso del suo impero politico con le risatine di Sarkozy e della Merkel e il Parlamento che vota sostenendo che “Ruby era la nipote di Mubarak”.

Silvio Berlusconi ha inventato il concetto di “partito azienda” in almeno trent’anni di attività politica ha plasmato la mente degli italiani, dividendo il Paese in folle osannanti che lo amavano e folle di persone che lo odiavano. Non è facile essere obiettivi quando si parla di una figura tanto divisiva, soprattutto perché qualunque cosa si dica rischia di essere interpretata come “odio mediatico” o come “santificazione di un criminale” per questo sarebbe il caso di andare con ordine e capire prima di tutto chi era Silvio Berlusconi e perché è stato tanto amato (e odiato) dalla popolazione italiana.

Fino al 1994 era un imprenditore spregiudicato, quello che aveva comprato la casa di Arcore ad un costo molto più basso del suo effettivo valore di mercato (a seguito dello scandalo dell’omicidio/suicidio del Marchese Casati Stampa), che aveva capito il potenziale della televisione prima che lo comprendessero altri e che nel 1980, con la nascita di Canale Cinque (nata dopo aver comprato le frequenze di un canale privato della Mondadori), creando un modo alternativo di “intrattenimento televisivo”, una televisione che fosse svago vero e proprio e non didascalica, pedagogica e moralista come era la Rai. Con la sua “discesa in campo” le sue televisioni sono diventate l’amplificatore della sua visione politica, una vera e propria macchina da guerra da usare all’occorrenza contro gli odiati comunisti.

Già, i comunisti: la brillante intuizione politica di Silvio Berlusconi fu quella di creare letteralmente da zero il centrodestra, sdoganando l’antico dogma della Prima Repubblica che i post- fascisti del Movimento Sociale Italiano non potessero fare politica: potevano essere tollerati, ma non avevano nessun legame con la democrazia “nata dall’antifascismo”.

Il patto del 1993, quando disse a sorpresa “se fossi un cittadino romano voterei per Gianfranco Fini, non per Rutelli”, rompendo un tabù della politica italiana.

Nel 1994, si presenta alle elezioni con un partito che ha fatto del marketing il suo mantra già nel nome “Forza Italia”, un nome in cui tutti possono identificarsi, perché tutti almeno una volta nella vita hanno gridato Forza Italia. Il centrosinistra, la gioiosa macchina da guerra di Occhetto è convinto di poter vincere, perde malamente le elezioni e viene relegato all’opposizione, costretto poi nei fatti a diventare moderato (sino a vincere le elezioni nel 1996 candidando Romano Prodi, un democristiano moderato, il solo che lo batterà alle urne per ben due volte).

Vince con la promessa di una “rivoluzione liberale” che nei fatti non viene mai realizzata, quando lascia il potere nel 2011 il sistema è molto più corporativo di prima, ingessato in rituali da Prima Repubblica con una Seconda che, nei fatti, non è mai nata. Del resto non poteva essere altrimenti, il Ventennio berlusconiano è stato segnato dalla polarizzazione sulla persona non sulle politiche che sono sempre state messe in secondo piano (colpevolmente anche dalle opposizioni che hanno in parte rinunciato alla loro identità nel tentativo di sconfiggere il nemico comune).

La sua morte pone veramente fine ed un’era della politica italiana. Un’era in cui la politica è stata fondata da personalismi, politica estera fondata sulle personali amicizie del leader (Putin e Gheddafi su tutti).

Il tutto viziato dalle inchieste giudiziarie, le condanne per evasione fiscale, lo scandalo di “fine impero” del bunga bunga tutto accompagnato dalle barzellette, le figuracce in diretta mondiale gli insulti agli elettori avversari (“non posso credere in che in Italia ci sono così tanti coglioni che votano a sinistra”), la costruzione del mito attorno a se stesso, la mitomania di un leader che non ha mai accettato l’idea di poter essere messo in secondo piano.

Tutto questo ed anche di più è stato Silvio Berlusconi; servirà tempo per poter analizzare a mente fredda gli ultimi vent’anni di storia italiana perché, come disse Montanelli “ci vorranno trent’anni per uscire dal berlusconismo” e come diceva Gaber “io non ho paura di Berlusconi, ma del Berlusconi dentro di me” perché l’uomo Berlusconi per tutta la sua vita ha incarnato vizi e virtù di un Paese allo sbando, orfano di una classe politica dopo la fine di Tangentopoli.

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