Elezioni 2022: La “virata a sinistra” del Movimento 5 Stelle

Le elezioni che si terranno il prossimo 25 settembre segneranno un mutamento radicale della composizione del prossimo Parlamento.

Se le indicazioni di voto dovessero essere confermate ci troveremmo ad avere un centrodestra con una solida maggioranza ed un centrosinistra all’opposizione frammentato e diviso su politiche e strategie da seguire.

La campagna elettorale che ha preceduto le elezioni è stata segnata da una non discussione politica, ovvero, i partiti che sono scesi in campo si sono preoccupati di spiegare perché non votare per l’avversario piuttosto che convincere gli elettori perché votare per il proprio partito.

Alla luce di questa considerazione è importante cercare di capire (almeno da un punto di vista filosofico politico) quali potranno essere le differenze delle forze che potrebbero entrare in Parlamento.

Partiamo dal Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte, innanzi tutto perché si tratta del partito che alle scorse elezioni era il partito con la maggioranza relativa del 33% e perché rispetto alle scorse elezioni è quello che più di altri ha pagato il sostegno al Governo Draghi.

Partiamo proprio da qui, dalla fine del Governo Draghi, secondo alcuni causata proprio dalle decisioni politiche di Giuseppe Conte.

Senza raccontare i fatti (già ampiamente raccontati da telegiornali e giornali di ogni tipo e orientamento) cerchiamo di capire come (e se) il Movimento 5 Stelle è mutato rispetto al recente passato.

Innanzi tutto la prima cosa che salta agli occhi è che i due pupilli di Beppe Grillo – Luigi di Maio ed Alessandro di Battista – sono entrambi fuori dalle liste e dal Movimento.

Il primo, dopo essere stato presentato da Grillo come “ragazzo straordinario, è napoletano” nella famosa diretta streaming con Matteo Renzi (quella di “esci da questo blog Beppe”) ha subito una vera e propria mutazione genetica.

Passato dall’essere espressione della lotta al sistema è diventato parte integrante di quello stesso sistema che avrebbe dovuto abbattere tanto da uscire dal Movimento 5 Stelle e diventare stampella al Governo Draghi dopo aver iniziato una dura contestazione proprio a Conte (nel frattempo eletto portavoce del Movimento dopo essere stato per ben due volte Presidente del Consiglio sostenuto proprio da Luigi di Maio).

Alessandro di Battista invece ha fatto una scelta diversa: nato come controparte di lotta di Luigi di Maio, per anni ha incarnato la fiamma della contestazione che doveva essere tenuta viva nel Movimento 5 Stelle per non perdere il sostegno della parte movimentista dell’elettorato.

Anche Di Battista (sebbene per motivi diversi da Luigi Di Maio) in qualche modo è stato fatto fuori dal movimento.

In questo modo Conte è riuscito ad assumere il controllo del Movimento, mettendo fuori gioco con un colpo solo quelle che sono le uniche figure ingombranti che potevano oscurarlo e soprattutto (con la decisione di abbandonare la piattaforma Rousseau) si è anche tolto di mezzo la pesante influenza di Davide Casaleggio (il quale a differenza del padre vedeva nella piattaforma solamente un’opportunità di guadagno).

Ora, eliminati tutti gli avversari e ridimensionata la figura ingombrante di Beppe Grillo (il quale dall’inizio delle elezioni non ha ancora rilasciato una dichiarazione), Giuseppe Conte sta lavorando ad una vera e propria mutazione ideologica del Movimento: da partito populista qualunquista a partito ispirato al populismo di sinistra.

In sostanza, la strategia di Conte è quella di rivendicare la scelta di non aver votato la fiducia al Governo Draghi sull’invio delle armi in Ucraina e di scaricare la colpa della caduta sullo stesso Draghi reo di non aver accettato i punti richiesti dal M5S per proseguire l’esperienza di Governo.

Al di là del “giudizio morale” che si può esprimere sull’operato di Conte (giudizio peraltro impossibile perché la scienza politica è per definizione a-morale) bisogna ammettere che la strategia del portavoce del Movimento sta pagando, complice anche il suicidio di tutti quei partiti alla sinistra del Partito Democratico (che come vedremo in seguito sta perseguendo una linea in continuità con l’operato di Mario Draghi) che hanno obtorto collo deciso di schierarsi al fianco del PD in nome di un improbabile “Fronte di Liberazione Nazionale” non è ben chiaro da che cosa.

Giuseppe Conte, insomma ha la grande possibilità di andare ad occupare lo spazio lasciato vuoto dalla sinistra lavorando alla costruzione di un progetto ibrido tra quello che sognava Casaleggio (padre) e quello che invece ha realizzato in Spagna Podemos!

La strategia comunicativa di Conte anche sembra essere particolarmente vincente: la decisione di richiamarsi a principi “progressisti” (parola che richiama epoche antiche di post comunismo e socialismo) senza mai fare accenni ideologici e puntare tutto sulle cose di sinistra fatte dai Cinque Stelle (anche quando erano al Governo con Salvini) rischia seriamente di essere una strategia capace di portare voti al Movimento Cinque Stelle permettendo a Conte di occupare – da solo – gli scranni dell’opposizione.

Staremo a vedere tra dieci giorni quanto alla fine la sua strategia abbia pagato e quanto ci sia di vero nei suoi propositi, ma per ora verrebbe quasi da dirgli: hasta la victoria!

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