Le dimissioni di Luigi di Maio da capo politico del Movimento Cinque Stelle potrebbe essere una buona occasione per il Movimento di “rivedere sé stesso”.
In vista degli Stati Generali (che si terranno a marzo) il Movimento dovrà compiere ulteriori passi per continuare a crescere.
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La stagione di Governo di certo non si può definire una stagione particolarmente esaltante per il Movimento 5 Stelle il quale è passato dal 35% delle scorse elezioni al 18% (circa) delle attuali proiezioni.
Come è stato possibile un simile calo di consensi nel Movimento in poco meno di un anno? Rispondere a questa domanda sarà il compito degli Stati Generali che non avranno il compito “solamente” di trovare un nuovo leader politico ma anche e soprattutto di definire una linea politica del Movimento Cinque Stelle sino a questo momento completamente assente.
Uno degli errori di fondo del Movimento Cinque Stelle (a mio avviso) è sempre stato quello di considerare la classe politica in generale come qualcosa di “sporco”, qualcosa con cui non si dovesse collaborare ma qualcosa da contestare a priori.
Il Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio era nato con l’ambizione di cambiare la politica andando (un domani) al Governo, secondo il principio della vocazione maggioritaria che è stato alla base della fase definita “Seconda Repubblica”.
Il fatto è che dal referendum del 4 dicembre in poi la politica italiana è radicalmente cambiata, tornata indietro se vogliamo, ripristinando uno schema di voto che non premiava più le coalizioni ma i singoli partiti.
La necessità di non sprecare l’ottimo risultato ottenuto ha spinto il Movimento Cinque Stelle ad andare a cercare un accordo con la Lega di Matteo Salvini (che al momento della formazione del Governo aveva il 17%) lasciandosi imporre alcune decisioni politiche che non appartenevano alla linea del Movimento (si prenda ad esempio il voto sulle misure di sicurezza e poi si pensi a Grillo che nemmeno due anni fa definiva “gli immigrati una risorsa per il Paese”).
Lo spostamento del Movimento Cinque Stelle verso destra ha portato al crollo di consensi a sinistra (voti che per sono tornati nella vasta area del non- voto) mentre i voti che avevano preso dagli “orfani” della destra (nello specifico delle aree del Nord Est orfane della Lega) sono tornati semplicemente a casa andando ad ingrossare le fila di coloro che votano Salvini.
La caduta del Governo Conte I e la formazione del Conte bis (con i voti del Partito Democratico) poi ha spinto molti elettori a pensare che il Movimento non è poi tanto diverso da tutti gli altri partiti che sono presenti in Parlamento, il che ci porta alla questione più urgente che il Movimento deve affrontare: la propria connotazione politica.
Il ragionamento “non siamo né di destra né di sinistra” alle lunghe rischia di non reggere perché ad un certo punto è necessario dover scegliere un campo.
Il Movimento era nato con una spinta propulsiva senza precedenti nel panorama politico italiano, deciso a portare avanti una serie di politiche innovative che andavano dalla gestione dell’ambiente in maniera più consapevole alla ricerca di una soluzione per “eliminare la povertà”, tutte idee che nel corso delle esperienze di Governo con la Lega sono state completamente abbandonate sino ad essere solo parzialmente riprese con il Governo assieme al Partito Democratico.
Eppure, anche questo potrebbe non bastare.
Il problema dei Cinque Stelle rimane sempre quello relativo alla formazione di una classe dirigente capace di agire in un contesto politico complesso come quello italiano ed europeo. Pensare che “tutti” possano fare politica senza un minimo di conoscenza pregressa dei sistemi politici non è solo utopico ma per molti versi è folle.
Se il Movimento vuole davvero sopravvivere a sé stesso dovrà necessariamente cambiare alcuni aspetti della propria natura:
Vincolo delle due legislature: Uno degli aspetti che meno condivido dello Statuto del Movimento è il vincolo dei due mandati nelle istituzioni, innanzi tutto per un motivo pratico: due mandati sono quelli necessari per comprendere il funzionamento dei meccanismi della politica. L’idea che dopo due mandati si debba uscire (quindi dopo aver capito come funzionano le cose) è piuttosto strana (per non dire completamente folle come idea). Inoltre, una simile politica potrebbe portare ad un livello di corruzione maggiore rispetto ad una permanenza più lunga (per paradosso) questo avverrebbe perché eventuali iscritti al Movimento, sapendo che hanno solo due mandati per “sistemarsi” (molti sono entrati in politica per trovare lavoro e non per passione) andrebbero necessariamente a cercare un modo per crearsi una via d’uscita per rimanere nel mondo della politica. A questo potremmo aggiungere (come ulteriore effetto) che molti decidono di passare al Gruppo Misto per poi candidarsi nelle liste di altri partiti. Da una parte la scelta risulta comprensibile: si vuole in questo modo lasciare spazio ai giovani senza creare un sistema dove ad entrare in Parlamento siano sempre gli stessi. Una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di permettere (a chi è al secondo mandato) di restare poi a disposizione del Movimento come “consulente” o come “dirigente” perché solo in questo modo sarebbe possibile “formare una classe dirigente”. Inoltre (e questo è un altro aspetto che andrebbe analizzato) chi ha fatto due mandati nelle amministrazioni comunali deve avere almeno la possibilità di completare almeno un mandato come parlamentare, per mettere a disposizione la propria esperienza in campo locale.
E qui arriviamo al secondo punto: formazione di una classe dirigente. Quello che in questi anni è mancato alla politica è una classe dirigente all’altezza delle aspettative e delle necessità che aveva un Paese che sta attraversando una crisi economica da cui non sembra esserci via d’uscita. Una crisi economica che forse l’Italia sta pagando più di altri e che sinora nessun Governo e nessuna classe politica è riuscita non solo a superare ma anche solo ad arginarla. Troppo spesso le decisioni politiche si sono limitate a mettere delle toppe sulle questioni economiche senza mai entrare nel merito e senza mai pensare ad una seria politica di sviluppo. Perché questo sia possibile è necessario pensare ad una classe dirigente “formata” e in grado di reggere le sorti del Paese. Inoltre, una classe dirigente è fondamentale per seguire quelle che sono le necessità del territorio, perché la pretesa che siano i singoli parlamentari a farlo (togliendo in questo modo tempo al lavoro parlamentare) è pressoché impossibile. Si tratta dunque, attraverso la formazione di una classe dirigente si superare la logica del “partito liquido” (dove gli eletti sono singoli rappresentanti di loro stessi) e tornare ad una struttura di partito solida, fatta di apparati e di strutture in grado di coprire ogni necessità ed ogni aspetto della politica, sia nazionale che territoriale.
Recupero delle proposte politiche delle origini: Nel corso dell’ultime esperienza di Governo (sia con la Lega sia con il Partito Democratico) il Movimento Cinque Stelle è risultato essere più debole proprio in quei punti dove doveva essere più forte. La scelta di abdicare (almeno questa è stata la percezione di una buona parte degli elettori) sulle tematiche più care al Movimento ha portato ad un conseguente calo di consensi tra gli elettori. Aggiungendo a questo la gestione fallimentare di uno dei cavalli di battaglia del Movimento Cinque Stelle come il “reddito di cittadinanza” ha portato un ulteriore crollo di consensi al Movimento. Per ripartire sarebbe necessario ripensare in una chiave più moderna quelle che sono state le proprie decisioni politiche, partendo proprio dal reddito di cittadinanza. Presentato quando è stato approvato come il primo passo dell’abolizione della povertà in realtà non è riuscito ad arginare il fenomeno del costante impoverimento della classe media italiana (sparita definitivamente con la concezione della legalizzazione della condizione di precarietà nel mondo del lavoro), un fenomeno che si poteva arginare facilmente impostando una politica di aumento dei salari che invece non è stata presa minimamente in considerazione. Uno degli aspetti mai affrontati dal reddito di cittadinanza, per assurdo, è stato proprio quello della gestione dei contratti di lavoro. I salari italiani (soprattutto per quei lavori che non sono “statali”) variano tra i cinquecento e gli ottocento euro (raramente possono raggiungere i mille) uno stipendio che non è sufficiente per costruire emancipazione di una persona soprattutto di un giovane (che da anni vengono citati in ogni campagna elettorale senza nessuno faccia niente per loro). Questo crea anche un altro problema non preso in considerazione: che necessità posso avere di lasciare il reddito di cittadinanza se è più alto di un salario medio? Il tentativo di superare questa che sembra essere una banalità ma in realtà è il vero nodo della politica economica del Movimento Cinque Stelle potrebbe essere un punto da cui ripartire per la rinascita del Movimento
Per ripartire dunque il Movimento deve uscire dalla logica del “facciamo le cose bene con chiunque” e deve in qualche modo darsi una precisa connotazione politica sulla base delle proprie idee e delle proprie proposte.
Evitare dunque che gli Stati Generali siano solo una conta (come ne abbiamo viste tante nei partiti di destra e di sinistra nel corso della storia) e fare in modo che il cambio di leadership possa essere anche un viatico per un cambio di linea e di strategia politica.