Qualche consiglio per fare “davvero” un Governo del cambiamento

La storia di quest’estate è storia recente: la crisi voluta da Salvini, l’accordo tra Partito Democratico e Cinque Stelle e la possibilità di formare un nuovo Governo senza andare al voto anticipato.

Tralasciamo tutti i commenti che riguardano le modalità con cui si è formato il Governo (anche perché la Costituzione è stata applicata più o meno alla lettera, per quanto possa non piacere) e soffermiamoci un attimo su quello che questo Governo deve (o dovrebbe) fare.

Innanzi tutto ci sono le questioni economiche che riguardano l’approvazione della legge in bilancio: evitare che venga aumentata l’IVA (riducendo ancora di più in questo modo i consumi già bassi degli italiani) è la prima cosa.

La seconda è quella di rivedere il reddito di cittadinanza: come misura economica di “contrasto alla povertà” potrebbe anche essere sufficiente (e dico potrebbe visti i problemi che si sono verificati nel reperire tutti i fondi necessari e la complessità delle richieste per ottenerlo) ma non basta. Per fare in modo che l’Italia esca davvero dalla crisi e possa dire di riprendersi tanto al livello economico quanto al livello salariale bisogna intervenire innanzi tutto sul mercato del lavoro.

Andando per punti cerchiamo di capire come potrebbe intervenire il Governo per essere davvero governo del cambiamento, partendo proprio dal mercato del lavoro.

LAVORO

Il mercato del lavoro in questi ultimi anni in Italia è sempre rimasto più o meno fermo.

Nonostante un consistente calo della disoccupazione (che si attesta nel mese di luglio al 9,9% secondo i dati Istat) le condizioni di vita medie tendono a migliorare.

Questo perché i salari sono ancora bassi non solo rispetto al resto d’Europa ma anche rispetto al costo della vita medio in Italia.

Ragionando per numeri, possiamo ipotizzare che il salario medio (tranne qualche eccezione) vari dai 700 ai 1200 euro (ipotizzando il secondo come stipendio massimo). Ragionando sempre per numeri: un affitto in media sta tra i 500 ed i 700 euro mensili (l’acquisto di una casa non lo prendiamo in considerazione dato che si tratta di una condizione ancora più complessa e che alla nostra analisi aggiungerebbe altre variabili), quindi ipotizzare una vita autonoma con salari così bassi diventa una vera e propria impresa.

Inoltre, un compenso adeguato potrebbe essere anche un buon incentivo per lavorare meglio per un lavoratore e di conseguenza un salario più alto consentirebbe di aumentare la produttività.

Ovviamente per aumentare i salari (e di conseguenza andare incontro ai lavoratori) è necessario intervenire anche a favore di chi il lavoro lo dà (quindi gli imprenditori) abbassando i costi proprio sul lavoro, consentendo quindi di investire sul salario, un modo per farlo potrebbe essere una riduzione delle tasse (non sono un economista per cui non mi azzardo in ipotesi improbabili su come fare, le mie restano delle idee) in modo che i soldi possano essere reinvestiti sulla qualità di vita del lavoratore.

Il Governo dovrebbe quindi farsi garante di un dialogo tra le imprese e sindacati nel tentativo di migliorare le condizioni del lavoratore a partire proprio dall’aumento del salario minimo.

Un altro aspetto da tenere in conto nel mercato del lavoro è cercare di contrastare con ogni mezzo possibile il lavoro nero, vera piaga che impedisce la crescita economica del Paese (aspetto che peraltro è strettamente correlato all’immigrazione che affronteremo più avanti) e aumentare i diritti del lavoratore che ormai sembra avere solo obblighi nei confronti del proprio datore di lavoro e nessun diritto.

IMMIGRAZIONE

Uno dei temi più spinosi degli ultimi anni in Italia.

Nel corso degli anni ho cercato di affrontare il fenomeno (anche su questo blog) cercando da un lato di essere il più obiettivo possibile e dall’altro cercando di ipotizzare scenari di una soluzione possibile per un fenomeno che non può essere controllato né tanto meno fermato.

Prima di ipotizzare una soluzione vorrei però fare una breve introduzione su quella che credo sia l’immigrazione: se prendiamo l’immigrazione non come fenomeno sociale ma come fenomeno “naturale” possiamo dire che l’essere umano è per natura un essere soggetto alle migrazioni come qualunque altro animale.

Detto questo, in un sistema di società complesso come quello attuale le migrazioni non avvengono solo per motivi “naturali” (come avveniva in precedenza) ma soprattutto per motivi politici, nella maggior parte dei casi legati alla condizione economica o sociale di quelli che emigrano. Le migrazioni possono quindi essere di vario genere: dovute ai cambiamenti climatici, alle condizioni di impossibilità a professare la propria religione, la propria cultura o il proprio orientamento sessuale, tutti elementi che sono in palese violazione al concetto di “società aperta” su cui si basa invece buona parte del pensiero occidentale.

Regolamentare i flussi migratori non vuol dire affondare i barconi o impedire alle navi delle ONG di attraccare nei nostri porti ma significa cercare una soluzione (nel nostro caso condivisa da tutta Europa) perché l’immigrazione venga percepita come una risorsa e non come una sorta di “male necessario”.

Perché questo si realizzi è necessario lavorare su almeno due fronti, uno “politico” ed uno “culturale”: quello “politico” deve trovare la strada per consentire che i flussi vengano gestiti non da un solo Paese ma da tutti i Paesi appartenenti all’Unione Europea non in base ad una ripartizione fatta a tavolino ma sulla base della necessità delle persone, mettendo al centro quindi l’individuo non le questioni politiche. Il secondo aspetto si collega con un altro punto che dovrebbe essere approfondito, ovvero la costruzione di un’identità europea.

Perché questo aspetto si possa realizzare però è necessario innanzi tutto che l’Europa prenda consapevolezza non solo del proprio ruolo economico ma anche e soprattutto del proprio ruolo “sociale” della formazione dell’individuo.

Dire “siamo europei” non può essere solo una parola priva di significato, deve essere uno stimolo per elaborare e costruire un processo di identificazione sempre più univoco in quelli che sono i valori europei in cui tutti i cittadini si riconoscono (anche qui, per affrontare il discorso servirebbe molto più spazio e conto di poterlo fare quanto prima) quindi tornando al ruolo del Governo nella gestione dei flussi migratori: almeno per quelli che sono intenzioni a restare in Italia (e sono pochi) sarebbe necessario pensare ancora prima che ad un alloggio e ad un lavoro ad un periodo di formazione sui principi e sui valori della Repubblica italiana a cui si devono adeguare prima di diventare cittadini italiani. Ovviamente questo aspetto deve essere accompagnato dalla possibilità di avere un lavoro stabile e retribuito che consenta uno stile di vita dignitoso (come prescritto dalla Costituzione) ma questo dovrebbe già essere stato risolto dal “salario minimo” quindi non ci sono problemi.

AMBIENTE

Un altro aspetto che ritengo debba essere al centro dell’azione di un Governo del cambiamento (se davvero vuole essere tale) è quello che riguarda la “questione ambientale”.

Ormai è sempre più evidente che la Terra non sia più in grado di tollerare il grado di sfruttamento a cui la stiamo sottoponendo: il continuo aumento della vendita di automobili (solo in Italia se ne posseggono almeno due a famiglia), la continua produzione di plastica ed altri materiali inquinanti e la completa mancanza di una strategia “ambientale” sta letteralmente mettendo in ginocchio sia l’Italia che il resto del mondo.

Stiamo distruggendo la Terra e non ce ne stiamo rendendo conto. Vivere in equilibrio con quello che ci circonda sarebbe la vera rivoluzione da compiere. Una rivoluzione ambientale dunque, che sarebbe da portare avanti con una lungimirante strategia di investimento delle energie rinnovabili. L’Italia potrebbe in questo essere un polo di avanguardia se solo ci fosse la volontà di farlo e soprattutto se solo l’Italia decidesse di investire risorse nella ricerca appunto delle rinnovabili.

Investire nell’eolico, nel idroelettrico o nel riciclo consapevole (e quindi attraverso una raccolta differenziata che diventi parte integrante della vita delle città) l’Italia potrebbe davvero essere un polo di attrattiva anche (perché no?) per l’investimento di capitali dall’estero che siano interessati al benessere dell’Italia e non solo a sfruttarne terreno, persone e risorse.

RICERCA

L’ultimo punto che mi preme sottolineare è la ricerca: un Governo del cambiamento dovrebbe pensare seriamente a come reperire fondi per aumentare la ricerca, sia scientifica che umanistica.

Pensare dunque ad una riforma dell’intero sistema universitario (e scolastico), una riforma però che migliori la qualità della didattica e della ricerca anche attraverso la possibilità delle scuole (e delle università) di poter avere fondi da privati in grado di finanziare progetti di ricerca.

In questo modo l’università resterebbe pubblica (con un Stato a fare da garante impedendo che i privati possano aumentare le tasse impedendo di fatto il libero accesso a tutti) ma allo stesso tempo avrebbe modo di avere una disponibilità di fondi da parte dei privati per finanziare progetti di ricerca.

Sulla ricerca vorrei soffermarmi ancora – e sicuramente lo faremo più avanti – per ora credo che come “auspici” per il Governo del cambiamento questi possano bastare.

Ovviamente sono tutti punti che devono essere approfonditi e sviluppati meglio, le mie sono abbozzi di idee di un povero “scemo del villaggio” (per citare il titolo di una canzone dei Ratti della Sabina) ma la speranza che qualcosa si possa realizzare resta, perché l’Italia merita di crescere con Governi capaci, consapevoli interessati non solo alla poltrona ma anche e soprattutto a quello che è il bene dei cittadini.

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