Titanic, ovvero come la “Sinistra” è stata incapace di vedere l’iceberg

Non è facile iniziare a scrivere una recensione di Titanic.

Non è facile perché in un modo o nell’altro anche io sono stato partecipe di quella stagione ed anche io sono uscito bruciato (o affondato, se vogliamo tenere in piedi la similitudine del Titanic e della nave che affonda) da quella che sarà sempre ricordata come “stagione renziana”.

Devo subito premettere una cosa (non me ne voglia Chiara Geloni) ma per buona parte di questa storia io sono stato rispetto a lei dall’altra parte.

Certo, non sono mai stato un “renziano” di stretta osservanza, nel senso che ho sempre cercato di essere critico quando molti attorno a me diventavano osannanti (anche a costo di mettermi contro persone che erano amici) perché la “coerenza intellettuale” per me è sempre stata un faro che ha guidato la mia attività politica.

Non è facile, dicevamo. E non lo è anche perché Titanic non è un libro che scarica tutte le colpe del tracollo della sinistra solo su Matteo Renzi ma le distribuisce equamente tra tutti i rappresentanti di una classe dirigente che non è stata capace di vedere che il mondo attorno stava cambiando e non stava cambiando in meglio.

La “mucca in corridoio” di cui parlava Bersani (e su cui sono stati sprecati fiumi di ironia) nel frattempo è diventata prima un toro e poi un bufalo ed ora ci troviamo al Governo uno dei governi più reazionari dai tempi di Benito Mussolini e con un partito di chiara ispirazione fascista (se non nelle idee almeno nei modi e nei toni) che continua a crescere nei sondaggi senza che la sinistra sia in grado di produrre uno straccio di opposizione che non sia far notare gli errori grammaticali di chi vota Cinque Stelle o rivendicare ogni volta la propria “supremazia intellettuale” nei confronti degli elettori senza comprendere che questo atteggiamento non fa che allontanare la famosa “base” dai vertici del partito.

Prima di arrivare a questo però vorrei dire una cosa: qui non si tratta di rinnegare quanto è stato fatto ma di comprendere quelli che sono stati gli errori commessi, perché se il Partito Democratico è sceso dal 40% al 18% sicuramente qualche errore è stato commesso e se non si riparte da quegli errori le prossime elezioni saranno ancora più drammatiche perché rischiano di consegnare il Governo alla destra più reazionaria di sempre.

Tuttavia, è impossibile parlare di Titanic senza fare un accenno alla stagione renziana, da molti rivendicata come una delle più prolifiche a sinistra (tanto che l’ultima campagna elettorale invece che promuovere che cosa si volesse fare per il Paese non faceva altro che ricordare agli elettori che cosa si era fatto) e da altri considerata come la tomba della sinistra italiana. Se ci si ferma al sottotitolo allora la lettura che ne possiamo dare è “La Geloni vuole dare tutta la colpa a Renzi di quanto successo al centrosinistra” in realtà questa chiave di lettura può essere anche vera. se ci ferma al sottotitolo del libro.

Per spiegare quello che intende Chiara Geloni forse dobbiamo usare proprio la metafora del Titanic: mentre tutti i mozzi dicevano al Capitano che la nave stava andando a sbattere contro un iceberg e sarebbe affondata, il capitano si ostinava a tenere la barra dritta perché “la nave è solida”. Allo stesso modo, di fronte all’evidenza degli errori che si commettevano in campagna elettorale un’intera classe dirigente rispondeva sprezzante “noi abbiamo il 40%, voi siete solo dei mozzi, che cosa ne volete sapere?”.

Ora però qui sorge la prima difficile domanda: la colpa del tracollo è da attribuire tutta a Matteo Renzi o piuttosto non è che Renzi è figlio di una serie di errori commessi da una classe dirigente che è stata incapace di capire che la situazione politica italiana era in continuo mutamento?

Non parlerò di quella stagione né dei suoi protagonisti, perché ognuno leggendo il libro ne potrà trarre le proprie conclusioni, però voglio soffermarmi sull’aspetto politico che pone il libro: che cosa rimane alla fine dell’esperienza del Partito Democratico?

Quando ho letto le parole su che cosa secondo Chiara Geloni era il Partito Democratico mi è subito venuto in mente il murales nella mia sezione (fortemente voluto dal segretario di allora) di Moro e Berlinguer, perché quelli per noi erano i simboli della “stagione democratica dell’Italia” perché quello per noi era lo spirito con cui si doveva stare nel partito: accettare le diversità dell’altro per costruire l’identità di una nuova sinistra, in grado di rispondere alle richieste di una società in continuo mutamento che vedeva crescere sempre di più la disparità tra persone. Quello che serviva era non un partito che contestasse la globalizzazione tu cur ma che fosse capace di costruire una “strada alternativa” alla globalizzazione. Con questo spirito avevo aderito al Partito Democratico, proponendo un partito liquido, nel senso di un partito aperto all’associazionismo di sinistra, luogo di incontro di culture e di battaglie diverse ma che erano comunque in grado di trovare un punto di incontro per costruire insieme una nuova “egemonia socialista” per quanto forse il termine non sia proprio appropriato.

Ora, la domanda che mi pongo avendo finito di leggere il libro è “Che Fare?”, ovvero da dove bisogna ripartire per ricostruire un progetto di sinistra unitario che non sia la fotocopia di qualcosa di già visto ma che sia comunque in grado di rispondere alle richieste di una società sempre meno paritaria e sempre più incattivita?

Per rifondare la Sinistra bisogna ripartire innanzi tutto dalle idee. Nel racconto dei “giorni della traversata” – per usare le parole dell’autrice – si trova un altro interessante motivo di riflessione: dopo la scissione il processo di costruzione di qualcosa a sinistra del PD è fallito a causa del protagonismo di alcuni che non si sono resi conto che senza un progetto non si poteva costruire nessun progetto.

Allora proviamo a ripartire da qui: dal dire che per essere “alternativa” bisogna innanzi tutto pensare “alternativa” bisogna avere il coraggio di dire che i processi della globalizzazione liberista sono sbagliati, perché creano disparità tra le persone, bisogna iniziare a produrre documenti e pensiero critico che metta in campo una soluzione globale a quelli che sono problemi globali.

La seconda cosa da evitare è l’ossessione della “maggioranza di Governo” perché se qualcosa ha affossato il PD si tratta proprio di questo: l’ossessione del vincere che ha portato il maggior partito di centrosinistra italiano a scavalcare a destra la destra liberista perché solo in questo modo si poteva vincere.

Mentre leggevo stavo ripensando ad un’intervista di Matteo Renzi a Porta a Porta: Vespa chiede a Renzi quale fosse la differenza tra lui e Berlusconi e la risposta fu “che Berlusconi promette le cose ed io le faccio”, il problema che venissero fatte le cose che erano cavalli di battaglia proprio di Berlusconi è un dettaglio che nella risposta è stato trascurato. Questa degenerazione è potuta avvenire perché l’ossessione era quell’imperativo categorico “vincere ad ogni costo” anche calpestando tutti quelli che erano i valori della sinistra che avevano portato alla nascita del Partito Democratico.

Rimane allora la stessa domanda: da dove ripartire?

Innanzi tutto dal cercare di rimediare ad un errore storico, messo in luce anche da Bersani nella postfazione al libro: la Sinistra degli anni 2000 ha pensato che la globalizzazione potesse essere lasciata libera, commettendo un errore madornale nel pensare (cedendo alla retorica neoliberista dei mercati in grado di regolarsi senza l’intervento dello Stato) che i processi di globalizzazione avrebbero portato solo benessere.

Invece la crisi del 2008 ha dimostrato che i processi che sono alla base del capitalismo speculativo non solo non migliorano le condizioni economiche delle masse ma puntano a creare disparità tra poveri e ricchi.

Dovremmo ripartire da Marx (non dalla sua interpretazione religiosa che si è tradotta nel modello di autoritarismo sovietico) ma dallo studio che spiegava come i processi del capitalismo avrebbero portato necessariamente ad un costante impoverimento della classe media che sarebbe stata “proletarizzata” per usare un terminologia marxista.

Bisogna ripartire dal concetto di “società” rimettendola al centro dei processi decisionali della politica, tornare ad un “nuovo Umanesimo” se mi si passa il termine che sia in grado di mettere al centro l’uomo e non le merci, i profitti, il consenso.

Sarebbero tante le cose da dire, forse troppe, e forse siamo anche usciti fuori tema.

Rimane comunque un dato di fatto: Titanic è un libro da leggere, non tanto perché antirenziano ma perché racconta una stagione politica fatta di errori e di tradimenti, di processi interrotti da cui ripartire, ricostruendo dal basso, pensando ad un soggetto plurale, orizzontale, incentrato sui valori e non sui nomi.

Questo è quello che questo libro mi lascia, se pensate che sia solo “contro Renzi” allora forse, dovreste lasciarlo sullo scaffale della libreria.

2 pensieri su “Titanic, ovvero come la “Sinistra” è stata incapace di vedere l’iceberg

  1. apprezzo moltissimo la lucidità e l’onestà di pensiero, ma, per completezza, avendo sempre fatto parte dell'”altra sinistra” (quella da alcuni sprezzantemente indicata come “sinistra sinistra”) vorrei aggiungere che, purtroppo, gran parte degli errori commessi dal ’94 in poi erano stati abbondantemente evidenziati dalla mia area politica (che di responsabilità ne ha tante, spesso diverse da quelle addebitatele).
    per esempio lei scrive “la Sinistra degli anni 2000 ha pensato che la globalizzazione potesse essere lasciata libera”, ma avrebbe forse dovuto scrivere “il centro sinistra” perchè la “sinistra” era a Genova a contestare (anche ingenuamente, anche senza un’analisi credibile) quella visione.

    analoghi discorsi si potrebbero fare per le politiche sul lavoro che portarono al jobs act (a mio avviso la vera causa della sconfitta del pd: i lavoratori non l’hanno mai perdonato): il jobs act non fu un colpo di testa di Renzi, ma un provvedimento storicamente e logicamente connesso ad altri precedenti, primo fra tutti il pacchetto Treu (che la sinistra a sinistra del PDS contestò, con vari modi e toni) – non era un esito inevitabile (tutt’altro), ma nemmeno poi così sorprendente, nonostante la diversità di contesto.

    duole anche ricordare che la prima strage in mare di migranti occorse sotto il primo governo Prodi, quando la marina militare speronò affondandola la kater I rades… non paragono Prodi a Salvini, ma il punto è che lo scivolo era già stato inclinato all’epoca…

    non sto recriminando nè giocando a “l’avevo detto” semplicemente ritengo che giovi un po’ di chiarezza, non fare di tutta un’erba un fascio (le responsabilità anche della mia area politica ci sono, ma sono altre e ritengo giusto ricordare che i problemi qualcuno li aveva visti molto prima, se non altro per ricordarsi che vale la pena ascoltare…) e, soprattutto, non farsi prendere da tentazioni nostalgiche rispetto ad una stagione politica (con le sue luci e le sue ombre) irrimediabilmente chiusa.
    Il fallimento della proposta alternativa al PD (leu) è stato proprio, anche se non esclusivamente, nel pensare di poter proporre “frontmen” un tantinello usurati (Bersani, Grasso) se non universalmente detestati oltre che consumati (il buon D’Alema).
    si possono apprezzare le autocritiche (penso a D’Alema che ha criticato la stagione politica di cui è stato protagonista), ma difficilmente ci si può proporre come guide di una svolta dopo aver ammesso errori di analisi di portata storica.
    scusi l’eccesso di parole.

    "Mi piace"

    1. Intanto ti ringrazio per la risposta e per il complimento e ci tengo a preciso un aspetto (che forse nell’articolo risultava poco chiaro). Quella che te definisci “sinistra- sinistra” per ma ha un nome: si chiama “sinistra comunista” ed è la stessa a cui appartengo anche io. Ho utilizzato il termine “sinistra” non a caso, perché credo che il termine sia stato utilizzato sin dal 1992 (anno di scioglimento del PCI) da parte della classe dirigente ex PCI per snaturare quello che era l’aspetto ideologico dell’appartenenza al partito. Per questo quando parlo della “sinistra-sinistra” (per usare la tua stessa accezione, tendo ad utilizzare i termini di “sinistra massimalista” o “comunista” perché da un senso maggiore di appartenenza. La “sinistra” che era a Genova (a cui appartengo anche io) ha a mio avviso commesso un errore diverso rispetto al PD: non capire che la contrapposizione allo snaturamento ideologico del PDS/DS (e poi PD) non doveva essere la chiusura massimalista o il rintanarsi in una sorta di esaltazione dei “bei tempi andati del comunismo” ma doveva essere quella di aggiornare il proprio messaggio proprio a partire da quanto il movimento a Genova aveva capito con sette anni di anticipo: il conflitto di classe non era finito – come sosteneva buona parte della classe dirigente del “fu PCI” – ma si era allargato diventando conflitto di massa (o di moltitudini, come espresso da Toni Negri nel suo omonimo testo) e la prospettiva non poteva essere più il superamento del sistema capitalista ma doveva essere qualcosa di diverso, quel qualcosa che non siamo riusciti ad elaborare del tutto. Sarebbe interessante continuare questa discussione, cercando di capire secondo te quali possono essere stati gli errori della “sinistra-sinistra” per cercare di elaborare una strada alternativa alla costruzione di una “Sinistra” che prenda le mosse dal comunismo ma che allo stesso tempo sia in grado di rispondere alle domande poste da forme di capitalismo sempre più globalizzato.
      P.S: non preoccuparti per la lunghezza, in una fase in cui l’insulto sembra essere il massimo dell’analisi politica un po’ di dibattito fa sempre bene.

      "Mi piace"

Lascia un commento