La cultura, da “forma di emancipazione” ad “arma di discriminazione”

La cultura è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte della sinistra, soprattutto quella comunista.

L’idea che la cultura fosse necessaria per l’emancipazione delle masse (e fare quindi in modo che la masse prendessero coscienza dello sfruttamento a cui le sottoponeva il capitalismo) era una delle “armi” usate da comunismo per costruire il processo che avrebbe dovuto portare alla rivoluzione delle masse.

In questo quadro ricoprivano un ruolo fondamentale gli intellettuali, i quali avevano il “compito” di curare l’aspetto formativo delle masse (in particolare quelle operaie) attraverso testi di divulgazione e scuole di partito.

La cultura per la classe dirigente che veniva dalla Prima Repubblica (ed aveva conosciuto la scarsa alfabetizzazione) era una elemento imprescindibile per la formazione dell’individuo e la scuola ricopriva in questo un ruolo fondamentale (vedremo più avanti il ruolo che in questo contesto ha assunto la scuola).

La grande battaglia era dunque quella di rendere il sapere accessibile a tutti o quantomeno al maggior numero di persone senza tenere conto della loro situazione economica, famigliare o politica.

Con la fine delle ideologie e la progressiva accettazione del sistema capitalista che fa della “competizione” e della “supremazia” i suoi cavalli di battaglia (ovviamente ragionando per eccesso) la cultura è diventata da “forma di emancipazione delle masse” come la aveva pensata ad esempio Antonio Gramsci “arma di repressione delle masse”  laddove il diritto di parola spetta non a tutti ma solo a chi può vantare nel suo curriculum almeno una laurea o un dottorato.

Questa tendenza è stata accentuata con l’avvento del Movimento Cinque Stelle, al quale la cosa che viene maggiormente contestata è la “scarsa formazione della sua classe dirigente” (non voglio qui analizzare il Movimento Cinque Stelle o difenderlo ma solo fare una analisi sul ruolo che la cultura ricopre oggi nel dibattito politico ed è impossibile farlo senza tenere conto del Movimento), non nel senso istituzionale ma nel senso scolastico.

Mancando completamente a parte di “critica al sistema” (di cui anzi l’opposizione si fa espressione e garante) i parlamentari del Movimento Cinque Stele vengono contestati non solo per le loro idea (che non sono antisistema) ma sulla base della loro formazione e della loro militanza politica.

Possiamo fare due esempi per spiegare meglio questa tendenza: il primo è il contestare a Di Maio aver fatto lo steward allo Stadio San Paolo, come se aver lavorato potesse essere una grave discriminante per fare politica.

Il secondo caso che mi viene in mente di citare è quello del professor Burioni (sì, proprio quello che difende i vaccini) che in una discussione con un docente precario di filosofia della scienza si è sentito contestare non la sua opinione, ma il fatto stesso di essere precario, come se questa potesse essere una discriminante a discutere con un professore ordinario.

Qui abbiamo un altro passaggio del concetto di “cultura come fonte di potere”.

La cultura diventa un elemento di supremazia sulla massa e come tale viene trattata.

La sinistra se vuole tornare ad essere di sinistra deve innanzi tutto restituire alla cultura il proprio ruolo di emancipazione delle masse e non più di supremazia di una massa su un’altra.

“Chi possiede la cultura possiede il potere” e la cultura è l’unico potere che può e deve essere di tutti.

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