Prospettive per lo studio della storia

Probabilmente la storia a scuola è una di quelle materie odiate dagli studenti così come lo sono la lingua latina (per gli studenti delle superiori) o come lo sono la matematica o altre materie “potenzialmente noiose”.

Ho già affrontato su questo blog in altri articoli il rapporto che la scuola dovrebbe avere con la storia (nella maggior parte dei casi insegnata male e solo seguendo uno schema dove basta imparare a memoria qualche data per comprendere la storia) ma ho deciso di ritornare sul tema.

Innanzi tutto perché prima di essere qualunque cosa sono uno “storico” e quindi mi interessa che la materia a cui ho dedicato la mia intera vita (o parte di essa) venga studiata nella maniera migliore e venga apprezzata dagli studenti almeno tanto quanto la ho apprezzata io.

Prima di iniziare però cerchiamo di rispondere ad una domanda: chi è lo storico?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo prima rispondere ad un’altra domanda: che cosa è la “storia”?

No, non intendo la materia che ti fa conoscere il passato, insomma quella dove ci sono le date della Seconda Guerra Mondiale o dei Governi Giolitti (giusto per citare due eventi legati alla storia d’Italia) intendo letteralmente: cos’è la storia?

Letteralmente, se risaliamo alla sua etimologia originale greca

obabilmente la storia a scuola è una di quelle materie odiate dagli studenti così come lo sono la lingua latina (per gli studenti delle superiori) o come lo sono la matematica o altre materie “potenzialmente noiose”.

Ho già affrontato su questo blog in altri articoli il rapporto che la scuola dovrebbe avere con la storia (nella maggior parte dei casi insegnata male e solo seguendo uno schema dove basta imparare a memoria qualche data per comprendere la storia) ma ho deciso di ritornare sul tema.

Innanzi tutto perché prima di essere qualunque cosa sono uno “storico” e quindi mi interessa che la materia a cui ho dedicato la mia intera vita (o parte di essa) venga studiata nella maniera migliore e venga apprezzata dagli studenti almeno tanto quanto la ho apprezzata io.

Prima di iniziare però cerchiamo di rispondere ad una domanda: chi è lo storico?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo prima rispondere ad un’altra domanda: che cosa è la “storia”?

No, non intendo la materia che ti fa conoscere il passato, insomma quella dove ci sono le date della Seconda Guerra Mondiale o dei Governi Giolitti (giusto per citare due eventi legati alla storia d’Italia) intendo letteralmente: cos’è la storia?

Letteralmente, se risaliamo alla sua etimologia originale greca
ἱστορία il termine indica letteralmente “indagine, investigazione, ricerca”.

Qui dunque ci possiamo porre la prima domanda: la storia è ricerca di cosa?

Di solito quando si parla di “ricerca” siamo tutti abituati a pensare che la ricerca si faccia in chimica, in fisica, in biologia o in materie appunto che consideriamo “scientifiche”, facendo una distinzione tra “materie scientifiche” e “materie umanistiche”.

Eppure vi posso sorprendere dicendo che quella distinzione non esiste se non nella nostra mente.

Torniamo quindi alla domanda iniziale: di che cosa si occupa esattamente la storia? Quali sono i suoi campi di ricerca?

Possiamo dare una risposta dicendo che la storia si occupa di studiare l’uomo.

Meglio ancora, la storia “racconta l’uomo ed il modo in cui questo interagisce con l’universo ed il modo in cui lo modifica attraverso le sue decisioni”.

In un articolo precedente ho già ipotizzato la storia attraverso la descrizione di tre eventi tra loro apparentemente scollegati ma che possono invece avere tra loro una connessione logica per cui senza il primo non si sarebbe potuto verificare il secondo. (https://smirnoffsite.wordpress.com/2018/10/13/storia-maestra-di-vita-se-insegnata-nella-giusta-maniera/)

Possiamo provare ad allargare ora lo spettro di quell’esperimento ponendoci una serie di domande su alcuni eventi storici e sulle conseguenze sulla storia dell’evoluzione umana, partendo da una cosa facile di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, ovvero la Guerra Fredda.

Con il termine Guerra Fredda si indica il periodo che seguì la fine della II Guerra Mondiale e che vide Unione Sovietica e Stati Uniti.

La Guerra Fredda ci sarebbe stata senza la Rivoluzione d’Ottobre di Lenin? Ed ancora la Rivoluzione ci sarebbe mai stata se la Russia fosse rimasta neutrale nella Prima Guerra Mondiale?

Ripetendo questo schema potremmo arrivare ad analizzare ogni evento alla luce degli eventi precedenti cercando di capire come le interazioni dell’uomo nell’universo abbiamo modificato la struttura degli eventi sino a compiere un determinato evento.

Ribaltando questo schema potremmo prevedere gli eventi futuri sulla base degli eventi del passato, non utilizzando qualche potere misterioso ma prendendo in considerazione tutte le variabili che si possono prendere in considerazione nell’analisi di un singolo evento.

Insegnare “La Storia” dunque vuol dire insegnare il modo in cui l’uomo interagisce con l’universo circostante? Se limitiamo la nostra concezione della “storia” allo studio del singolo essere umano allora sì, però possiamo andare oltre e per farlo dobbiamo allargare la nostra mente e cambiare la nostra prospettiva sulla “storia”.

Dunque, con il termine “storia” si inizia a parlare di storia solo nel momento in cui l’essere umano inizia a scrivere prima si parla di “Preistoria” e la materia che ne occupa è la Paleontologia.

Ma quello che era prima dell’uomo non è storia?

Forse dobbiamo uscire dalla nostra visione “antropocentrica” della storia per poterla comprendere meglio e poter spiegare tutta la sua complessità ai nostri studenti, perché si possa fare partiamo da un singolo evento, anche minimo e chiediamoci, come è iniziato tutto? In breve arriveremo a costruire uno “schema scientifico” che va dall’antropologia alla fisica, passando per altre materie che ci possano aiutare a “superare” la visione della storia come materia vuota, chiusa in sé stessa, come semplice materia dove bisogna ricordare due date in fila.

Buon 2019

“Quali sono i propositi per il nuovo anno”? Come ogni fine anno si riapre il dibattito su quelli che sono i propositi e le speranze per il nuovo anno, con la speranza che per molti possa essere l’anno della svolta. Tempo di bilanci lo è anche per chi governa, e non parlo solo della politica ma anche per chi necessariamente si trova ad amministrare posizioni di potere.

Come ogni anno la rivista #Wired ha pubblicato un numero speciale su quelle che saranno (o che almeno dovrebbero essere) le parole chiave del nuovo anno. Consiglio la lettura della rivista a tutti coloro che in qualche modo pensano che il “progresso” sia alla base dell’evoluzione dell’essere umano e per tutti coloro che in qualche modo hanno interesse a pensare a come migliorare le condizioni di vita dell’essere umano.

In particolare sono rimasto colpito da una parola: Umanesimo.

In un’epoca dove la tecnologia prende sempre più potere ed in momento in cui l’uomo sembra scomparire è necessario andare in controtendenza e riproporre un modello di visione della società in grado di rimettere l’uomo al centro dell’azione anche se attraverso l’interazione con la macchina. Quello che si legge nella spiegazione è: “Da disciplina tecnica a umana: questo è il passaggio necessario affinché la tecnologia sia un elemento positivo per collettività” (Wired, edizione Inverno, nr. 87 p. 87).

La parola “Umanesimo” mi affascina da tempo, sin da quando me la sono trovata davanti nei miei studi di storia, di filosofia, di comprensione dei processi dell’evoluzione umana, ritengo che il termine sia ben più importante di quello molto più conosciuto di “Rinascimento”, perché il secondo non ci sarebbe mai potuto essere senza il primo. La “Rinascita” del pensiero umano – tanto osannata – avvenuta negli anni che vanno dalla fine del Quattrocento sino più o meno alla fase dell’Illuminismo non sarebbe stata possibile se prima non si fosse deciso di rimettere al centro dell’azione umana l’uomo nella sua dimensione naturale, come essere dotato di ragione e come tale capace di comprendere quelle che sono le ragioni del pensiero umano.

Umanesimo quindi, un processo che oggi deve necessariamente assumere una nuova connotazione, deve essere capace di rimettere al centro di tutto l’uomo non in quanto “individuo” ma in quanto “essere umano” quindi non in quanto appartenente ad una razza o ad una religione ma in quanto appartenente al “genere umano”. Come può questo termine essere correlato alla tecnologia? Come può una cosa apparentemente fredda come la “tecnologia” essere di aiuto a rimettere l’essere umano al centro dell’evoluzione?

La tecnologia è ancora una dimensione dell’azione umana che spaventa, spesso si sente dire “tutta questa tecnologia dove ci porterà?” e ci si lamenta di come la tecnologia abbia “spento il nostro cervello” è vero, ma è vero solo in parte.

Se è vero che tecnologia da una parte ha “semplificato” la nostra vita, rendendo il nostro cervello sempre più pigro, è anche vero che i processi tecnologici hanno portato alla creazione di strumenti che migliorano decisamente la nostra mente ed il nostro modo di agire.

L’essere umano ha sempre guardato con timore alla “tecnologia” intesa in senso filosofico, probabilmente perché la tendenza è quella di temere ciò che non siamo in grado di comprendere.

Probabilmente è quanto successo quando sono state messe in discussione le certezze della “Terra come centro dell’universo” e probabilmente i contemporanei di Galileo o di Copernico hanno fatto le stesse obiezioni che oggi i nostri genitori fanno alla costante evoluzione tecnologica.

Eppure, Intelligenze Artificiali, macchine pensanti, telefoni che somigliano sempre più a dei computer capaci di interagire tra loro con altri strumenti tecnologici oggi sono una certezza del nostro mondo e attraverso questa certezza l’uomo deve recuperare il proprio centro nel mondo.

Pensare solo agli aspetti negativi della tecnologia vuol dire non comprendere la portata di quello che sta accadendo nel mondo e qui allora torniamo al nostro punto di partenza “la costruzione di un nuovo Umanesimo”.

Per quanto elaborare concetti troppo elaborati su un semplice articolo di un blog possa essere complicato (le argomentazioni sarebbero troppe) possiamo però provare a tracciare delle linee guida auspicando più che consigliando quello che dovrebbe avvenire.

Innanzi tutto perché l’uomo possa sviluppare una forma di comprensione maggiore della tecnologia ( e delle implicazioni di questa sulla propria vita) è necessario aprire la propria mente ad una forma di “empatia”, che si possa allargare non solo alla comprensione dei bisogni e delle necessità degli altri uomini suoi simili ma anche e soprattutto alla “comprensione” (anche se non è propriamente corretto il termine “comprensione”) delle macchine. Una maggiore empatia tra gli uomini non può che agevolare una maggiore empatia nell’integrazione uomo – macchina e non possiamo che considerare questo aspetto come una forma di “evoluzione della specie post darwiniana”.

In questo sviluppo “empatico” della società deve aiutare anche la classe politica, la quale deve iniziare a mettere al centro della propria azione “l’uomo” non in base al semplice tornaconto elettorale ma anche e soprattutto sulla base dell’evoluzione come essere umano. Pensare a politiche che sempre più vadano in direzione del miglioramento della condizione umana e che sempre più aiutino l’uomo a sviluppare quei processi empatici necessari per una maggiore integrazione e di conseguenza di un maggiore progresso in grado di superare le differenze di razza, religione, colore della pelle, e tutte quelle cose che oggi vengono considerate in qualche modo “discriminatorie”.

Per ora ci fermiamo, però torneremo ancora sui procedimenti e processi che potrebbero in un futuro (si spera nemmeno tanto lontano) essere elementi chiave per la costruzione di una nuova forma di umanesimo.

E vorrei chiudere (se mi è concesso) con un altro termine che in questa fase deve tornare ad essere sulla bocca di tutti, perché strettamente correlato alla parola “Umanesimo”, ed è la parola Ottimismo.

Dobbiamo guardare al futuro con ottimismo, pensare che tutto con il tempo non potrà che migliorare, perché il cambiamento, diceva Buddha

“Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è”