Articolo 10 della Costituzione

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Torniamo (dopo un po’ di tempo) a parlare di Costituzione. 

In questi mesi è stata chiamata più volte in causa, soprattutto in relazione alla vicenda del sindaco di Riace Mimmo Lucano  (vicenda nota, pertanto eviteremo di parlarne in questo articolo) e ad alcune prese di posizione del Governo Lega-Cinque Stelle. 

L’articolo della Costituzione che regola e parla del diritto d’asilo e di estradizione è l’Articolo 10 Cost., come al solito procederemo nel solito modo (già sperimentato per altri articoli approfonditi su queste pagine): prima metteremo per intero l’articolo e poi cercheremo di approfondirlo sulla base del diritto costituzionale e della dottrina e cercando di approfondire quello di cui parla quell’articolo.

Una nota a coloro che – leggendo questo articolo – penseranno che si tratta di una presa di posizione contro Salvini o contro il Governo: non è così. Ho già avuto modo di spiegare (parlando di Costituzione in altri articoli) come ritenga che La Legge vada considerata al di sopra dell’appartenenza politica e come tale legge vada rispettata “a priori”, giusta o meno che sia (avremo modo di affrontare in seguito il rapporto tra “legge morale” e “legge di Stato” per cercare di stabilire se tra le due esiste una contrapposizione netta).

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite, dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

L’articolo 10 della Costituzione costituisce una norma sulla produzione giuridica, poiché detta le modalità per recepire nel nostro ordinamento le norme del diritto internazionale generale (ovvero le consuetudini) e prevede un adattamento automatico permanente (mentre per l’adozione delle norme pattizie occorre la stipula di un apposito trattato.

Questa disposizione, in linea con il principio del rispetto della dignità umana, è necessaria per tutelare lo straniero da eventuali abusi discriminazioni da parte del potere amministrativo e giurisdizionale nei suoi confronti (comma 2), sia lo mette al riparo da possibili persecuzioni da parte dello Stato di appartenenza qualora si ritenesse quello Stato non democratico da cui il fuoriuscito (commi 3 e 4) ha richiesto asilo diplomatico. 

La Repubblica in questo modo si impegna da un lato a garantire di non porre in essere azioni discriminatorie tendenti a colpire gli stranieri soprattutto in materia di lavoro; dall’altro lato tende a vigilare sul rispetto dei principi umanitari e di solidarietà che rappresentano diritti inalienabili di qualsiasi essere umano, a prescindere dalla sua nazionalità.

Questo principio viene spesso associato a quello di diritto internazionale generale che tutela i diritti dell’individuo in quanto titolare di un diritto universale dei diritti umani. 

Un altro aspetto affrontato dall’articolo 10 Cost. è quello relativo al diritto di asilo (diplomatico) e l’estradizione. 

Nell’ultima parte dell’articolo viene riaffermata l’universalità di valori come libertà, uguaglianza e giustizia, valori che vengono estesi anche agli stranieri ed a tutti coloro che non hanno possibilità di godere di tali diritti nei propri Paesi (ovviamente questi diritti vengono garantiti dalla nostra Costituzione indipendentemente dall’orientamento politico, sessuale e religioso dal richiedente come da Art. 3 Cost.).

Questo spiega il riconoscimento del del citato diritto di asilo, ovvero del diritto dello straniero di soggiornare nel territorio italiano per sfuggire alle persecuzioni politiche del Paese di origine e poter, in tale modo, esercitare liberamente nel nostro Paese i diritti e le libertà che – al contrario – gli sono negati dallo Stato di appartenenza.

Altra forma di solidarietà di carattere umanitario è costituito dal divieto di estradizione per chi si è reso colpevole nel suo Paese di reati politici, ovvero di reati commessi per opporsi ad un regime “non democratico”.

Uno straniero può essere estradato solo quando lo Stato italiano ha certificato la natura dei reati commessi. Anche se per motivi politici – tuttavia – comunque colui che si è macchiato di un grave reato di genocidio ( che costituisce un crimine contro l’umanità)  può essere estradato dal nostro Paese.

Ovviamente (ma sarebbe anche inutile aggiungerlo) questo articolo tende a dare per scontato che un cittadino straniero che “gode dei diritti concessi in quanto cittadino” deve allo stesso tempo anche essere sottoposto agli stessi “doveri ed alle stesse leggi di cui gode un cittadino italiano”.

Storia, maestra di vita (se insegnata nella giusta maniera…)

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La notizia che sia stato tolto il tema di storia dagli esami di maturità è di pochi giorni fa.

Di per sé la notizia è passata quasi sotto silenzio, poche parole in un comunicato stampa del Ministro della Pubblica Istruzione e poco spazio nei telegiornali nazionali, altre erano le notizie importanti in quei giorni.

Eppure, la notizia avrebbe meritato tutt’altro rilievo da parte della stampa, avrebbe dovuto essere oggetto di dibattito da parte degli “esperti” , quelli che si reputano essere ancora “intellettuali”, coloro che difendono il sapere.

L’oggetto del dibattito non dovrebbe essere però “è giusto eliminare il tema di storia dalla maturità?”, la domanda posta in tal modo avrebbe potuto dar vita ai soliti dibattiti tra “esperti” a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.

La domanda che invece ci sarebbe dovuti porre sarebbe dovuta essere: ha ancora valore una storia insegnata come viene insegnata oggi nelle scuole superiori?

Innanzi tutto per rispondere a questa domanda si dovrebbe una volta per tutte chiarire un equivoco alla base dello studio della storia: lo studio della storia non è finalizzato all’imparare a memoria qualche data, lo studio della storia dovrebbe invece essere innanzi tutto un prezioso strumento per analizzare e comprendere la realtà che ci circonda partendo proprio dagli eventi storici per arrivare alla comprensione dell’attualità e del mondo circostante.

Perché questo sia possibile è necessario che nelle scuole superiori (almeno nel triennio che porta agli esami di maturità) si campi approccio e metodologia dello studio della storia, non più un mero imparare date a memoria ma fornire allo studente tutti gli strumenti per comprendere un dato evento storico e comprendere le implicazioni che questo evento ha avuto nell’attualità.

Troppo spesso la storia viene insegnata come se fosse una semplice sequenza di eventi senza concatenazione alcuna mentre chi studia a fondo la storia può affermare che sia tutto il contrario: in storia tutto è consequenziale e nulla avviene per caso, ogni evento ne presuppone un altro ed ogni evento a sua volta è stato preceduto da qualcos’altro. Proviamo a questo proposito – per chiarire meglio il punto – a fare un esempio concreto:

EVENTO UNO: LA SECONDA GUERRA MONDIALE

EVENTO DUE: LA GUERRA FREDDA

Possiamo affermare con certezza assoluta che senza il primo ci sarebbe stata la seconda? E possiamo affermare che la storia nel nostro secolo (sino al crollo del Muro di Berlino) avrebbe avuto lo stesso corso senza gli eventi della Guerra Fredda? Ed ancora, possiamo affermare che la storia d’Italia (così come quella di tante altre nazioni) non sarebbe stata condizionata dagli eventi della Guerra Fredda?

La tendenza a pensare alla storia non come uno strumento per analizzare la realtà circostante ma come una materia a sé stante di fatto è quanto rende lo studio della storia inutile nelle scuole.

Ripensare invece le categorie di come la storia viene insegnata può essere la base per quella riforma del sistema scolastico sempre pensata e mai realizzata.

Non serve insomma cancellare il tema di storia per riformare la storia, basta dare alla storia l’importanza che merita all’interno del sistema scolastico e stabilire una volta per tutte che cosa voglia davvero dire “historia magistra vitae”. 

Recuperare il messaggio di Marx (ed essere attuali)

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Sono anni che la sinistra si scervella su come si possa “superare Marx”, su come si possa conciliare una qualche ideologia di sinistra con un capitalismo sempre più turbo e sempre meno vicino ai bisogni delle persone.

Sembra quasi che il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica abbia dimostrato non solo il fallimento dell’esperimento sovietico, ma abbia dimostrato che l’intero impianto marxista fosse destinato al fallimento.

La fine del sogno sovietico e la conseguente impossibilità di “superamento della fase capitalista della storia” ha portato la sinistra in tutta Europa ad abbandonare le idee marxiste per andare ad abbracciare una dottrina liberista nella speranza di dare vita ad un “liberismo dal volto umano”.

Inutile dire come questo esperimento si sia nel corso del tempo dimostrato essere un fallimento su tutta la linea: il sistema liberista – impostato interamente su una visione individualista della società – ha di fatto portato alla nascita di storture sempre più evidenti nella società ed ad un sostanziale aumento delle differenze di classe, dove classi più ricche sono diventate sempre più ricche mentre quelle che un tempo erano le classi povere sono diventate più povere. Non solo, la crescita esponenziale dei costi della vita ha fatto sì che quella che un tempo era considerata “classe media” venisse con il passare del tempo assimilata ai “poveri” aumentando di fatto il conflitto di classe invece che risolverlo.

Sebbene oggi posso comprendere sia oggettivamente difficile parlare di “padroni” e di “proletariato” bisogna ammettere che quello che Marx alla fine dell’Ottocento definiva “lotta di classe” è tutt’altro che risolto, anzi per molti versi è stato esteso a quelle classi sociali che un tempo erano definite intellighenzia ed avevano il compito di produrre il sapere di una società.

Oggi stiamo assistendo ad una precarizzazione del mondo del lavoro sempre più evidente, un percorso iniziato nel lontano 2001, quando si iniziò a parlare anche in Italia di “flessibilità nel mondo del lavoro”. Flessibilità che è stata in breve trasformata in “precariato”. Inoltre abbiamo visto un aumento sostanziale di quello che possiamo definire “conflitto di classe” o “conflitti di classe”, dove per conflitti dobbiamo intendere tutte le forme di discriminazione e sfruttamento portate avanti da una società capitalista come quella attuale.

Le differenze di razza, colore, orientamento sessuale e spesso religione sono sempre più spesso alimentate da un sistema che crea povertà e creando povertà aumenta anche il conflitto sociale dando vita ad una vera e propria guerra tra poveri con la complicità delle classi dirigenti che quella guerra tra poveri cercano di alimentarla soffiando sul fuoco delle differenze.

Le lotte da portare avanti sono tante, molte diverse tra loro, ma hanno tutte necessariamente lo stesso obiettivo: superare un sistema perverso dove il 99% della popolazione resta soggetto alle decisioni del 1%. 

Perché questo sistema possa essere superato è necessario recuperare il messaggio lanciato da Marx nel 1848, quando parlava della costruzione di una società fondata sulla giustizia sociale e sulla completa assenza delle differenze di classe.

Per quanto ci sia stata la volontà di far passare il messaggio marxista come “antico” e superato dalla società attuale in realtà possiamo affermare che mai come oggi la lezioni (anzi “le lezioni”) di Marx in materia economica, monetaria e finanziaria si sono rivelate tanto esatte.

Recuperare Marx non significa – come molti credono – riportare indietro le lancette dell’orologio dicendo cose impossibili da attuare o “antiche” come dicono molti, facendo leva su un anticapitalismo che ripropone modelli di società superati dall’evoluzione della società umana e storica, tutt’altro.

L’ideologia marxista propone un modello di società basato sull’uguaglianza sostanziale a partire dalle condizioni lavorative, stabilite quelle tutte le altre differenze (derivanti dalla razza, dalla religione, dall’orientamento sessuale) sono destinate a sparire perché le condizioni lavorative sono identiche per tutti ed annullano quelle che sono le differenze di classe. Questo passaggio ovviamente nel pensiero marxista rimane una pura teoria, per essere tradotto in prassi è necessario che tutte le comunità in lotta per i loro diritti si uniscano per “superare la fase capitalista della società” e proprio in questa fase allora che il marxismo torna ad essere attuale. 

Perché questo sia possibile però è necessario tornare alla domanda che si poneva Lenin all’alba della Rivoluzione d’Ottobre, quando chiedeva (con il titolo della sua stessa opera) Che Fare? , ovvero: come fare in modo che quelle che sono le richieste e le prospettive del marxismo possono essere applicate ad una società in trasformazione come quella capitalista attuale? La domanda, che veniva posta nel 1917 rimane in parte ancora senza risposta non solo perché quel percorso elaborato da Lenin non si è mai realizzato ma anche perché in parte quel progetto rimasto abortito rimane – pur con tutte le sue criticità – un progetto ancora valido per pensare ad un superamento del capitalismo o almeno ad un suo miglioramento, per andare nella direzione di una società senza classi (avremo modo nel corso dei prossimi giorni di analizzare anche il pensiero di Lenin, per ora fermiamoci a Marx ed alle sue teorie).

Per questo ho deciso di cercare di ospitare su queste pagine (con il tempo dovuto per preparare delle sintesi adeguate ed accessibili a tutti) una serie di articoli sul marxismo, cercando insieme di spiegare quali sono le implicazioni del recupero del pensiero marxista oggi e quali possono essere le cose che andrebbero migliorate o quantomeno aggiornate al sistema attuale.

Per questa seconda parte parleremo anche di quei pensatori che dopo Marx hanno cercato di applicare le sue teorie ai mutamenti della società in cui vivevano – da Rosa Luxemburg a Herbert Marcuse – cercando di capire come il pensiero marxista sia evoluto nel corso degli anni e come pensiamo possa evolvere ancora.