Fenomenologia di Luigi di Maio, ovvero come Di Maio rischia di diventare presidente del Consiglio nell’indifferenza generale

Mentre una parte della sinistra addita gli errori grammaticali di Luigi di Maio e quelli di storia per screditarlo, lui in silenzio sta lavorando per accreditarsi come unico rappresentante dei Cinque Stelle in vista delle prossime elezioni. yyc7low8

Negli ultimi mesi Luigi di Maio (nato nel 1986 giova ricordarlo) è stato più di una volta al centro dell’attenzione per le sue scelte politiche e per essere stato indicato dal Blog di Grillo come candidato del Movimento Cinque Stelle (si potrebbe dire che in qualche modo si sapeva da tempo, ma su questo torneremo).

Non appena viene ratificata la sua nomina la sua prima decisione è quella di invitare Matteo Renzi ad una sfida in televisione su La7 per parlare della questione banche, poco prima delle elezioni regionali in Sicilia , quelle del 5 dicembre 2017.

Il risultato pessimo del Partito Democratico spinge di Maio a fare un comunicato stampa dicendo che lui non andrà al dibattito perché di fatto il voto in Sicilia ha delegittimato la posizione di Renzi come leader del centrosinistra e lui vuole parlare solo con il leader del futuro del Paese (quindi non più solo delle banche).

Dal giorno stesso iniziano i post ironici del tipo “coniglio”, “Di Maio Scappa” et similia.

CHE COSA SI NASCONDE REALMENTE DIETRO QUESTA MOSSA?

In realtà quella di Di Maio – più che un atto di viltà – appare una astuta mossa politica che vuole mandare un messaggio agli elettori dei Cinque Stelle ed in seconda battuta a quelli indecisi di centrosinitra non pienamente convinto di votare per il Partito Democratico soprattutto dopo gli esiti disastrosi del referendum.

Il messaggio che viene lanciato è: “io sono il candidato premier del Movimento Cinque Stelle, sono stato investito direttamente da Grillo e Casaleggio pertanto sono intoccabile”, qui subentra anche la logica del “me ne frego”: costringo Renzi ad andare in televisione, in una emittente televisiva che a me è più vicina in un programma notoriamente ostile a Renzi come quello di Floris e poi non mi presento, lasciandolo con il cerino in mano in pasto a tutti gli avversari, mossa paracula ma a suo modo geniale.

Allo stesso modo lancia un messaggio agli elettori di centrodestra quando ha rifiutato il dialogo con Salvini, il messaggio era lo stesso lanciato in occasione del confronto mancato con Renzi: io parlo solo con i leader degli schieramenti avversi.

Il che aggiunge un nuovo tassello alla sua strategia comunicativa: lanciare il messaggio che lui è l’unico dei tre competitors alle prossime elezioni ad essere sicuro di essere candidato premier, sollevando dubbi sulla forza degli altri due di mettere d’accordo i loro alleati.

Non importa il fatto che il sistema italiano non prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, non importano tutte le spiegazioni e le critiche alla sua posizione la logica è quella del Le Roi se mois. Io sono l’unico che non vi prenderà in giro, il solo candidato dei Cinque Stelle ed in una fase di profonda incertezza questa potrebbe essere, agli occhi di un elettorato confuso che pensa che sia scandaloso avere al Governo un “premier non eletto” (nonostante sia sia spiegato in tutte le salse che il Presidente del Consiglio in Italia non viene eletto ma nominato dalle Camere come da Costituzione, art. 92 Cost. “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri”).

Non solo, Luigi di Maio ha anche avuto la capacità di far fuori quelli che erano i propri competitor interni nel Movimento Cinque Stelle.

Andiamo ancora con ordine, cercando di disegnare un profilo storico: all’inizio i due volti del Movimento Cinque Stelle erano due: Luigi di Maio ed Alessandro di Battista. Il primo rappresentava la parte istituzionale del Movimento, quella che avrebbe potuto aprirsi al dialogo su proposte concrete, quella che rassicura la casalinga moderata e quella che può andare a trattare in Europa (ovviamente stiamo parlando di una descrizione ipotetica);  la seconda, Alessandro di Battista, era l’anima di movimento, quella con la spinta rivoluzionaria, la costruzione di una diarchia interna del Partito di lotta e di governo di comunista memoria. A questo schema ad un certo punto si insinua un terzo personaggio: Roberto Fico, che insieme agli altri due forma una sorta di triumvirato del Movimento a Cinque Stelle o se preferite una metafora calcistica una sorta di attacco a tre punte.

Tutto questo avviene mentre una delle tre punte Luigi di Maio inizia ad affinare la tattica per far fuori gli altri due: va agli incontri esteri per conto dei Cinque Stelle, incontra lobbisti, parla con leader stranieri e prende posizione ad esempio a favore della Russia, tutti passaggi che di fatto “preparavano” a quella che potrebbe essere definita (citando un illustre predecessore) una “sua discesa in campo perché lo chiedono gli italiani”.

Luigi di Maio è uno dei pochi che ha capito come funziona la politica, in poco meno di cinque anni è riuscito a farsi accreditare dal Movimento Cinque Stelle come “unico” leader (riuscendo comunque a mantenere intatta l’idea di fondo del uno vale uno”),  è riuscito a garantirsi almeno altri cinque anni di legislatura semmai il prossimo Governo dovesse durare e probabilmente anche una posizione futura nella gestione del Paese, niente male per un trentunenne fuori corso all’università.

Non solo, con tutto il casino che sta succedendo rischiamo anche di trovarcelo alla Presidenza del Consiglio semmai le elezioni dovessero andare male. Del resto Di Maio ha costruito così la sua intera carriera politica: lasciare che gli altri lo correggessero sui congiuntivi ed infilarsi laddove si creavano dei vuoti di potere per assumerlo.

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