La politica distante, storia di una classe dirigente incapace di dirigere

Che dati emergono dalle ultime tornate elettorali amministrative terminate nemmeno una settimana fa?

Un paio di dati interessanti: prima di tutto una netta vittoria della destra (o del centrodestra come preferite) che dimostrano come se le destre lavorano unite non ci sono avversari che possano tenere.

L’asse portante della destra alle ultime amministrative è stato lo schema Forza Italia- Lega Nord, forse l’alleanza più duratura mai esistita nel Ventennio della Seconda Repubblica e che in qualche modo rischia di dominare anche l’avvento della Terza Repubblica, ritornando prepotentemente alla ribalta prima del voto nazionale.

Altro dato che emerge: la scomparsa della sinistra, il che di sicuro non può essere considerata una buona notizia, qualunque cosa si pensi della “sinistra”.

Anche se qui sarebbe necessaria una disamina complessa che parta da un problema atavico della sinistra sin dallo scioglimento del Partito Comunista nel lontano 1992: il progressivo allontanamento da quelle che sono le dinamiche sociali proprie di una sinistra ispirata ad una ideologia marxista ed il continuo e costante inseguimento di quelle che sono le dinamiche e le prospettive di una società impostata sul capitalismo finanziario poi tramutatosi in capitalismo finanziario.

Incolpare solo Matteo Renzi sostenendo che il Partito Democratico ha virato a destra vorrebbe dire non riuscire a comprendere quello che è un problema più generale della “sinistra” che nella parola stessa contiene il germe della sua crisi: cosa vuol dire il termine “sinistra”?

Difesa dei diritti sociali? Difesa del lavoro? Lotta al capitalismo? O adeguamento a quelli che sono alcuni principi del capitalismo?

Quali sono le prospettive della sinistra? Andare al Governo, va bene ma poi? Che cosa hanno intenzione di fare? Il timore che dietro la “coalizione delle sinistre” manchi l’ambizione di un progetto è sempre dietro l’angolo e temo che anche gli elettori se ne siano accorti e per questo hanno deciso di non premiare le coalizioni di sinistra se non in qualche raro e sporadico caso.

Il Partito Democratico è quello che paga di più la sconfitta in termini elettorali, inutile nascondere un dato sotto gli occhi di tutti: anche qui però se le analisi sono finalizzate a cercare un colpevole invece che fare una disamina consapevole di quanto accaduto si rischia di non riuscire a cogliere quella che è la lezione del voto di domenica.

Non si può attribuire la colpa al solo Matteo Renzi, come i renziani non possono dare la colpa a chi non sostiene Renzi; l’elettorato ha punito un partito diviso, che nell’ultimo anno e mezzo non ha assunto una posizione comune su niente e non dico solo sulla riforma costituzionale ma nemmeno sulla scuola, su riforma del lavoro, su welfare, nemmeno sui diritti civili.

Pensare che un partito possa sopravvivere vivendo da “separati in casa” è stata in parte la rovina del Partito Democratico,tanto che alla fine, quando la tensione è esplosa in tutte le sue contraddizioni si è arrivati alla inevitabile scissione.

Una scissione che alla fine dei conti non aveva una connotazione ideologica, ma sin da subito ha rilevato un carattere ante personam che ha portato alla costruzione di un clone del Partito Democratico senza Matteo Renzi, tanto che la loro proposta elettorale è quella della riproposizione dell’Ulivo con Romano Prodi architrave dell’alleanza come se negli ultimi venti anni nulla fosse cambiato.

Altro discorso va fatto per i Cinque Stelle: nel periodo di loro massima espansione sono riusciti, loro malgrado, ad intercettare da una parte il voto degli “orfani della destra” e dall’altra dei “rivoluzionari della sinistra”  creando così una realtà eterogenea che possiamo definire – se mi passate il termine – centrista incazzato.

L’elettore medio dei Cinque Stelle non ha una precisa collocazione ideologica, o se la ha la ha messa da parte in nome del “andate tutti a casa” che alla fine resta il solo messaggio dei Cinque Stelle.

Ma basta questo per governare? No, nemmeno per idea; per questo i fallimenti di Roma (ed in misura minore di Torino) hanno fatto crollare i consensi anche nei confronti del movimento di Beppe Grillo, se a questo aggiungiamo che il solo sindaco che avevano che ha governato bene lo hanno cacciato come un “eretico” (Federico Pizzarotti)a  Parma ecco spiegate in parte le ragioni del fallimento a Cinque Stelle.

Insomma, le elezioni – come ha ben ravvisato Tommaso Cerno nel suo ultimo editoriale sull’Espresso sono state vinte decisamente dall’astensionismo che in questi ultimi anni è il vero elemento costante nelle elezioni in Italia.

Una seria analisi del voto non può non tenere conto dell’alto astensionismo, un messaggio più che chiaro all’intera classe politica, un messaggio rivolto a tutti verso un deciso cambio di passo, cambio di passo che non sia fatto solo a parole ma che sia soprattutto realizzato nei fatti.

Un altro aspetto che andrebbe approfondito è quello della totale mancanza di una classe dirigente capace di far fronte alle tante emergenze del Paese.

Anche qui le cause possono essere molteplici: innanzi tutto la mancanza di volontà della generazione precedente di preparare le classi dirigenti del futuro nel timore che queste in qualche modo potessero scalzarle (cosa che poi è avvenuta però con un livellamento verso il basso invece che verso l’altra) e dall’altra parte con un progressivo abbassamento del livello scolastico che ha portato a quella che possiamo definire precarizzazione della cultura che a creato una classe di persone che potrebbero essere definiti analfabeti disfunzionali. 

Il livello del dibattito è particolarmente basso, così come i dirigenti che lo portano avanti e senza una seria scuola di formazione per dirigenti non saremo mai in grado di uscire dalla palude che noi stessi ci siamo creati.

Insomma, l’Italia per uscire dalla crisi deve radicalmente cambiare passo, la Terza Repubblica deve rimettere al centro di tutto la politica, la formazione dei quadri dirigenti e le politiche del territorio; emulando quanto di buono è stato fatto dai vecchi partiti di massa, in qualche caso andrebbero anche recuperate le idee e le ideologie, adeguandole ai tempi, certo ma non abbandonandole bensì recuperandole, riaprendo in questo modo il dibattito sulle idee e non sulle persone.