Italia in recessione, per la terza volta

In questa torrida estate italiana, mentre tutta la politica sembra essere concentrata sui referendum e sul rimpallarsi offese su chi possa essere più conservatore e progressista di chi, l’economia italiana fa segnare ancora dati negativi: nella migliore delle ipotesi la crescita industriale sarebbe pari a zero, nella peggiore delle ipotesi andrebbe sotto segnando per l’ennesima volta un dato negativo a ridosso dell’estate e prima della ripresa dell’attività politica del Paese a settembre.

Secondo gli ultimi dati emersi dalla ricerca Istat il PIL rimane invariato, crescendo dello 0,7% rimanendo invariato rispetto allo scorso anno.

Va fatto notare che le previsioni di crescita del Prodotto Interno Lordo erano già piuttosto modeste ad inizio anno, visto che Confindustria ipotizzava una crescita di appena lo 0,15% mentre altri (molto più pessimisti) pensavano ad una crescita dello 0,2%.

Il Governo cerca di dare la colpa alla congiunzione internazionale, alla recessione europea, al Brexit ed al terrorismo, ma come “scusanti” non reggono.

Sebbene la crescita sia rallentata nell’intera eurozona raggiunge pur sempre un modesto 0,3% (poco ma meglio di zero verrebbe da dire) escludendo la Gran Bretagna che dopo il Brexit ha avuto una crescita pari allo 0,6%.

I sindacati iniziano ad essere sul piede di guerra, soprattutto la Cisl, che per bocca della sua segretaria Anna Maria Furlan chiede al Governo che investimenti pubblici vengano svincolati dai parametri rigidi applicati per far quadrare i conti del bilancio, chiedendo anche la riduzione delle tasse necessarie per far ripartire soprattutto le piccole e medie imprese e far crescere in questo modo i consumi drammaticamente bassi.

Riduzione che appare piuttosto complicata, visto che il debito pubblico ha raggiunto l’ennesimo livello record di 2.2248,8 miliardi di euro, aumentando di 7 miliardi rispetto al mese precedente e non consentendo al Governo di poter prendere misure economiche capaci di incentivare la crescita.

Insomma, appare lontano (Anzi lontanissimo) quel 1,2% che il Governo aveva promesso ad inizio anno parlando della crescita industriale del Paese.

Se a questo aggiungiamo che il 97% degli italiani (in termini numerici sono 9 italiani su 10!) sono più poveri dei loro genitori abbiamo di fronte un quadro davvero desolante per il futuro del Paese, ed è anche molto difficile ipotizzare una ripresa soprattutto perché con redditi così bassi non crescono i consumi ma perché sempre più famiglie sono costrette ad impoverirsi per mantenere i figli che non hanno lavoro e quando lo hanno sono costretti a lavorare con orari massacranti e redditi inferiori a quelli dei loro genitori.

Lo stipendio medio di un italiano è di 850/900 euro mensili (quando si guadagna “bene” va fatto notare) ed un affitto di una casa arriva a costare tra i 750/1000 euro, superando i mille abbondantemente quando si tratta di affitto nelle grosse città (a Roma per dire a 700 euro è difficile anche trovare un monolocale in periferia a questa cifra) ovvio che ci siano sempre più case vuote, le imprese chiudono, il denaro non circola ed il Paese non cresce.

La situazione di incertezza dell’economia italiana porta con sé tutta una serie di problemi per le giovani generazioni, costrette a rimandare il proprio futuro a data da destinarsi alzando di fatto il livello dell’età media italiana e abbassando la natalità del Paese, portando alla chiusura di scuole per mancanza di alunni, all’impoverimento ed alla precarizzazione degli insegnanti che non possono essere chiamati a lavorare nelle scuole per mancanza di studenti, ad un blocco drammatico del mercato immobiliare – con 500 euro mensili diventa difficile andare a vivere da soli e poter dire di essere “autonomi” – e costringendo un’intera generazione ad emigrare per sperare di trovare un lavoro – nella maggior parte dei casi non si tratta nemmeno del lavoro dei sogni ma di un “accontentarsi” di un lavoro qualunque che produca un reddito maggiore di quello che viene prodotto in Italia.

Va decisamente meglio a quelli che hanno delle lauree specialistiche, che spesso e volentieri riescono a trovare dei buoni posti di lavoro all’estero e che non tornano in Italia abbassando drammaticamente il livello della nostra classe dirigente (non solo quella politica ma anche quella imprenditoriale) e portando al paradosso di incarichi che anni ruotano attorno alle stesse persone ormai più vicine ai settant’anni che ai quaranta.

Per uscire dalla crisi lo Stato italiano dovrebbe farsi imprenditore (non facendo i soliti regali agli amici degli amici), incentivando le assunzioni attraverso una seria politica di sgravi fiscali (non con una riforma del lavoro che precarizza i lavoratori limitando i diritti che in molti casi saranno licenziati non appena finiranno le agevolazioni fiscali per chi assume), incentivare i consumi abbassando la tasse (su tutte la tanto odiata IVA al 21% vero e proprio ostacolo a chi in Italia vuole essere imprenditore) e soprattutto abbassando le tasse.

Ovviamente per poter fare queste misure andrebbero ridotti drasticamente i costi della politica, rendendo ad esempio meno burocratico l’apparato politico italiano, un vero e proprio carrozzone fatto non solo da politici ma anche da dirigenti e consulenti pagati milioni di euro per una singola consulenza o smettendola di sperperare soldi per fare favori quando invece si potrebbe trovare una soluzione che punti al risparmio.

Alla fine si torna sempre al discorso della “nuova classe dirigente”, non nuova anagraficamente ma nelle idee, nelle proposte e nella capacità di trovare una soluzione ai problemi quando si pongono.

L’alternativa potrebbe essere solo quella del caos politico modello spagnolo – dove per la terza volta in un anno probabilmente si tornerà a votare perché nessuno dei partiti ha la maggioranza per governare – ed un tracollo economico simile a quello greco che con il peggiorare delle condizioni economiche del cittadino medio e con la crisi stagnante della nostra economia sta diventando sempre più difficile impedire.

Per dare una vaga idea del dramma economico del nostro Paese mando il link dell’Istituto Bruno Leoni, che analizza istante per istante la crescita del debito pubblico in Italia, date un’occhiata ogni tanto.

http://www.brunoleoni.it/il-debito-pubblico-sul-tuo-sito

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