Il voto austriaco che spacca l’Europa

In Austria hanno vinto i Verdi, sconfiggendo la destra estrema ma c’è poco da festeggiare.

La vittoria del candidato indipendente, ex socialdemocratico ed ora nei Verdi Van der Bellen contro Hofer leader della Destra Populista è una vittoria di misura che non rassicura il fronte europeista e di sicuro è un dato che non può essere sottovalutato.

La crescita del fronte populista anti euro – ben rappresentato in Italia con un fronte che va da Salvini con la Lega, da Meloni con Fratelli d’Italia ed in parte con i Cinque Stelle di Grillo – pone all’Europa una questione fondamentale: come fare per impedire che l’intero progetto europeo venga affossato?

Il 21 aprile avevo pubblicato su questo blog un articolo in cui analizzavo al scelta sucida dell’Europa di procedere con una strategia economica neoliberista che già si era dimostrata fallimentare negli Stati Uniti con la crisi del 2008 aggravata dal voler per forza applicare le politiche di austerity ad un sistema economico che in verità avrebbe bisogno di tutt’altre misure, ora a questo dobbiamo aggiungere la palese difficoltà dell’Europa a gestire la situazione dei migranti, una situazione che rischia di tracollare appena con l’estate riprenderanno sbarchi e migrazioni di massa dalla Siria, dall’Eritrea e con ogni probabilità anche dall’Egitto dove la situazione appare tutt’altro che calma.

L’Europa dei populismi anti euro e contro i migranti è in crescita, almeno a vedere gli ultimi risultati elettorali e pare che non ci sia un forte contrasto al populismo da parte di quelle forze tradizionali che sempre si sono definite pro Europa.

Ripensare il concetto stesso di Europa, ripartendo proprio dal quel Manifesto di Ventotene scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (ricordato pochi giorni fa da alcuni esponenti del partito radicale tra cui lo stesso Marco Pannella prima di morire) deve essere la base per contrastare questa forma becera di populismo anti europeo.

Innanzi tutto tornare alle frontiere sarebbe un danno economico per l’Europa che si troverebbe da sola in un mondo sempre più polarizzato e contrapposto per blocchi dove a farla da padrone sono le economie americana e cinese, ma non basta: i nazionalismi nel corso della storia sono stati da sempre affiancati da una polarizzazione dello scontro e da una emergente cultura di destra che nel corso del Novecento ha portato a due guerre mondiali e ad un sistema polarizzato contrapposto per blocchi che rischia di portare di nuovo a pulsioni nazionaliste molto forti anche oggi, il che comporterebbe l’emergere di forze politiche che della lotta al diverso hanno fatto la loro ragione d’essere e su questo volontà di potenza  la cui diversità è stata spesso oggetto di campagna elettorale marcando la superiorità della razza (anche se almeno per adesso in maniera più blanda rispetto al nazismo od al fascismo) ribadendo come con l’immigrazione cresca il tasso di criminalità perché gli immigrati sono socialmente portati a delinquere.

Ovvio che per contrastare questa deriva andrebbe costruita una vera cultura europea a partire dalle scuole, spiegando come l’integrazione sia uno dei principi fondamentali del vivere insieme e di come le frontiere non sempre sono un bene.

Perché questo sia possibile però, perché la gente si innamori  del concetto di Europa noi dovremmo essere pronti a ripensare il concetto stesso di Europa, fare in modo che la nostra idea di Europa non sia quella degli sprechi e delle spese pazze denunciate da più parti, ma elaborare un pensiero ed un progetto di cui il Parlamento Europeo deve essere la guida ed epicentro.

Pensare ad esempio (come chiesto dal Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi) ad un sistema elettorale potrebbe essere il primo deciso passo verso la costruzione dell’Unione Federalista degli Stati Europei, per iniziare a pensare di realizzare una vera e propria confederazione di Stati dove ogni Paese membro possa decidere il proprio leader ed il proprio rappresentante, mantenendo la propria radice culturale e senza annullarsi in nome della globalizzazione, attraverso un sistema di votazione il più trasparente possibile, con l’identificazione di un leader  per ognuna delle correnti e con una competizione elettorale pensata non più semplicemente come un’elezione dei parlamentari ma come una vera e propria elezione del Presidente del Consiglio europeo, una figura con poteri ben definiti in grado di “nominare” un Parlamento con incarichi politici e con dei veri e propri ministeri con un peso.

Mi rendo conto che questa strada è forse quella più difficoltosa da percorrere, ma è la sola strada per salvare l’Europa altrimenti destinata ad una fine ingloriosa.

 

Emirati Arabi, il nuovo Medio Oriente

emirati

Esiste un posto in Medio Oriente dove il crollo del prezzo del petrolio si sente meno che in altri Paesi della stessa zona.

Mentre in Arabia Saudita si teme il crollo del prezzo del greggio (l’economia saudita si basa praticamente solo ed interamente sul petrolio), sono gli Emirati Arabi, unico paese del Golfo Persico a non essere impensierito del crollo del prezzo del greggio a barile a 30 dollari.

Gli Emirati sono il quinto produttore di petrolio e gas, terzo al mondo per riserve di idrocarburi.

Attraverso una visione politica ed economica più oculata rispetto agli altri Paesi del Golfo Persico, portata avanti da Zayeb Bin Sultan al Nahyan e del figlio di Khalifa (che è succeduto alla morte del primo nel 2004) basata sul diversificare gli investimenti, gli Emirati sono riusciti a diventare da piccolo paese una vera e propria potenza mondiale, patria del lusso e dell’alta finanza.

Oggi il petrolio pesa sul PIL dello Stato solo per il 22%.

Metà del PIL degli Emirati Arabi Uniti è interamente basato sui servizi, anche grazie ad una legislazione più tollerante e più snella ed una tassazione basata su regimi fiscali che incentivano l’afflusso di investimenti stranieri.

Una vera e propria terra promessa per gli scambi commerciali insomma.

Terra cosmopolita nel quale gli italiani sono arrivati in notevole ritardo rispetto al resto del mondo – come riportato da Capital di aprile nell’intervista al Segretario Generale della Camera di Commercio Mauro Marzocchi che afferma:

Prima della fine degli anni Novanta-Duemila gli imprenditori italiani non sapevano nemmeno dove fosse Dubai. Adesso continuiamo a registrare un tasso di crescita rapidissimo. Il 2015 è stato il periodo di importazione più fertile da sempre per le esportazioni italiane negli Emirati. 

Quasi tre miliardi di euro nel mese dell’anno trascorso.

Oggi come oggi le imprese italiane sono al settimo posto tra i Paesi  fornitori ed al terzo tra quelli europei.

Una tendenza continua a crescere – grazie soprattutto all’esportazione dei beni di lusso come la gioielleria (23,5% delle esportazioni) . Le opportunità comunque si conquistano in loco, e lo dimostra la seconda voce di export, i macchinari (che pesano per il 23%).

Insomma, pare che la tecnologia italiana piace, ed il fatto che gli Emirati abbiano bisogno di una rete di trasporti, aeroporti più efficienti, strutture recettive all’altezza. L’acceleratore di tutto questo ovviamente è la preparazione di Expo 2020. Questo vale tanto per i grossi contractor quanto per le piccole e medie imprese che possono essere interessate ad investire in quelle zone.

Sfruttare il made in Italy classico, che soprattutto negli Emirati Arabi hanno dimostrato di saper apprezzare è un modo per l’Italia di costruire una interessante partnership  con una potenza in continua crescita, cosa che non può che far bene alla crescita economica dell’Italia ed al suo prestigio internazionale

 

Arte e cultura per salvare l’Italia

L’Italia, da sempre è la meta turistica per eccellenza.

Nel’Ottocento era un privilegio per pochi poter viaggiare in Italia, ma tutti i grandi intellettuali che definivano tali dovevano fare tappa nel nostro Paese per poter completare il loro processo formativo.

GOETHE , per esempio, scrisse un bellissimo Viaggio in Italia in cui raccontava le bellezze che aveva visto nel nostro Paese e Keats si fece addirittura seppellire in Italia nel cimitero anglicano. Altri hanno percorso le strade italiane, raccontandone meraviglie e scrivendo romanzi (come non pensare alla Certosa di Parma di StendhalLa marchesa di Sansevero di Alexandre Dumas) ambientati per l’appunto in Italia.

Eppure da anni l’Italia non sembra riuscire  sfruttare il patrimonio artistico-culturale di cui dispone il Paese, lasciando spesso incompiuti, lavori di restauro, opera e borghi spesso e volentieri abbandonati al loro destino senza che nessun ente comunale o nazionale intervenga nella gestione e nella cura di questo patrimonio artistico valorizzandolo per quello che è: una risorsa del Paese e della nazione.

Va detto che la consapevolezza delle ricchezze del nostro Paese manca da sempre, da quando l’Italia venne definita “un’espressione geografica su una cartina” da Metternich, il cancelliere prussiano che mise in evidenza come l’Italia non fosse una nazione con uno spirito identitario forte ma fosse solo una serie di popoli in costante lotta tra loro.

Questo concetto è rimasto a fondo radicato nello spirito italiano ed impedisce di valorizzare al meglio quello che è un patrimonio identitario e culturale di una nazione come potrebbe la Germania oggi o come lo sono la Francia o la stessa Spagna, pur dilaniata dalle pulsioni secessioniste di Catalogna e Paesi Baschi.

Tornando all’Italia, possiamo citare il caso di Pompei su tutti: il sito archeologico più visitato al mondo abbandonato per anni a sé stesso senza una promozione turistica adeguata e soprattutto senza controlli o restauri in grado di promuovere quello che senza dubbio è uno dei gioielli della storia italiana, che è stato anche teatro (musicalmente parlando) di due concerti storici: quello dei Pink Floyd e dei Dream Theater.

Nel 2015 Pompei è stata visitata da 2.978.884 turisti  rimanendo uno dei siti archeologici con il maggior numero di visite dal 2000 ad oggi  non scendendo praticamente mai sotto i DUE MILIONI DI VISITE NEL CORSO DEGLI ULTIMI QUINDICI ANNI, tutto questo nonostante le difficoltà patite negli ultimi anni.

Valorizzare questo patrimonio, non solo con il mantenimento, ma anche con il lavoro di promozione e di costruzione di infrastrutture che renda questo posto, come tanti altri accessibile ed appetibile per chi vuole visitarlo e conoscere la sua bellezza è una delle missioni che si deve porre questo e qualunque altro governo in Italia.

Ho citato il caso di Pompei perché si tratta forse di quello più “tristemente noto” alle cronache, con i crolli e lo stato di abbandono che lo ha portato alle cronache di tutti i giornali del mondo, ma come Pompei ci sono tanti altri siti turistici e non abbandonati e dimenticati che invece potrebbero essere sfruttati per far conoscere meglio l’Italia nel mondo.

Vorrei creare uno spazio su questo sito per poter costruire una vera e propria mappatura di quelli che sono i siti di maggior interesse dell’Italia, pensando insieme a come questi siti potrebbero essere valorizzati e quale possa essere in questo contesto il ruolo dello Stato e del Ministro Franceschini.

L’idea è quella di far conoscere siti italiani, mettendo in contatto enti e società che i occupano della valorizzazione del territorio per permettere all’Italia non solo di ripartire ma di tornare ad essere “centro nevralgico della cultura del mondo” come lo era stato nel periodo che va dal Quattrocento al Seicento soprattutto.

Io nel mio piccolo, aprirò una sezione in cui cercherò di parlare di capolavori artistici, architettonici ed artistici italiani, perché questo patrimonio venga conosciuto ed apprezzato prima di tutto da noi, perché senza la conoscenza del proprio passato nessuna nazione è in grado di costruire il proprio futuro.