Da anni ormai la discussione politica, oltre che sui canali di comunicazione classica si è spostata sui social network.
Facebook, Twitter, Instagram, WordPress e Tumblr solo per citare alcuni tra i social network più gettonati, sono sempre più al centro del modo di comunicare della politica e sempre più serve affidare la comunicazione a personale specializzato.
Mentre negli Stati Uniti la comunicazione sui social viene presa in seria considerazione come strumento per creare consenso e tramutare quel consenso in volontariato per la politica, in Italia lo strumento dei social media viene ancora sottovalutato dalla maggior parte dei politici.
Non tutti i politici dispongono ad esempio di una pagina Facebook e Twitter e non tutti lo utilizzano nel migliore dei modi, anzi molti tendono a fare degli strumenti mediatici un pessimo uso, spesso fine a sé stesso e senza una strategia precisa di come una pagina ed un account vadano gestiti.
Vorrei dedicare questa parte del blog a tutti coloro che si ritengono “addetti ai lavori” o che sono più o meno interessati alla comunicazione digitale ed alla comunicazione in genere come strumento per creare militanza e consenso.
Prima di tutto una premessa: iniziando adesso ad occuparmi di questo argomento quello che scriverò sarà solo la prima considerazione di una serie di errori che ho riscontrato nella gestione dei social, andando avanti cercheremo di essere sempre più precisi e scendere sempre di più nel dettaglio.
- MANCANZA DI PERSONALE QUALIFICATO
Comunicare sui social network non è una cosa semplice, un semplice post su Twitter può far perdere consensi elettorali, suscitare l’ilarità del web, scatenare un dibattito che porta ad una perdita di consensi su un politico.
Prendiamo un caso eclatante delle elezioni a Milano che hanno visto la vittoria di Pisapia alle amministrative: sulla pagina Twitter della sfidante del sindaco di centrosinistra, Letizia Moratti compare una mattina una domanda “che cosa ne pensa il sindaco del progetto di costruzione della moschea nel quartiere di Sucate?”; lo staff della candidata risponde prontamente che il progetto sarebbe sicuramente stato bloccato, e che quindi i cittadini potranno stare tranquilli che non ci sarà nessuna moschea. Sin qui niente di male, se non fosse che il municipio di “Sucate” non esiste e quindi la risposta scatenò l’ironica reazione del popolo di Twitter anche sulla base del doppio senso del nome del quartiere.
Di per sé questo episodio ci fa capire principalmente due cose: primo, lo staff della Moratti non conoscendo Milano ha risposto sulla base di un post senza documentarsi; secondo, l’episodio è stato deleterio per la Moratti perché la risposta era sulla sua pagina Twitter e quindi era lei ad ignorare che il quartiere a Milano non esiste.
Una delle tendenze di molti politici è quella di affidare la comunicazione ad amici “smanettoni” che sanno più o meno come si usano i social e passano il loro tempo su Internet. Persone di buona volontà che si spendono per promuovere un candidato che però commettono errori grossolani per l’appunto come quello di Sucate. In questo caso quello che è mancato è stata la capacità di controllare la veridicità della notizia prima di rispondere (bastava andare su Google per sapere che Sucate non esiste) e rispondere con toni ironici alla notizia pubblicata.
Qui sorge allora un altro problema: la maggior parte dei politici (e spesso anche delle società) affida la comunicazione sui social ad una sola persona che da sola si trova a dover gestire spesso e volentieri tre, quattro a volte anche cinque social network applicando lo stesso criterio di gestione a tutti i social. Per esempio: una persona bravissima a gestire Facebook non è detto che sia altrettanto capace a gestire Twitter o Instagram o Pinterest. Uno staff di comunicazione dovrebbe essere composto da almeno due team che si occupano di cose diverse e che devono tra loro interagire.
2. I COMMENTI
A chi non è capitato almeno una volta di scrivere qualcosa su Facebook o Twitter e ottenere delle critiche e delle risposte negative al proprio commento? Più o meno a tutti, anche tra i nostri amici non tutti la pensano come noi e non tutti sono disposti ad accettare il proprio punto di vista. Ho notato che molti politici e dirigenti hanno la tendenza a scrivere sui social network e poi lasciare i commenti in balia degli umori della rete con effetti deleteri sulla gestione della pagina.
Prendiamo un politico che sulla sua pagina Facebook per i primi due post riceve una critica da parte di un elettore (o di un ex elettore): magari gli viene fatto notare come nel periodo in cui lui era amministratore o quando lo era il suo partito c’erano stati dei problemi su appalti o casi di tangenti o altre cose simili, come si deve comportare lo staff? Ovviamente deve rispondere, spiegando la posizione e magari cercando di far ragionare quel dato elettore che la situazione non era esattamente quella. Ad esempio prendendo le distanze dall’episodio, facendo notare che il quel periodo il candidato non era in amministrazione. Non rispondere ai commenti negativi potrebbe essere inteso come un “silenzio assenso”, non so cosa rispondere perché è vero. Sarebbe buona norma rispondere ai commenti negativi magari esordendo con un “caro elettore, ti ringrazio per la segnalazione, sarà mia premura una volta eletto risolvere questo problema” indicando anche una breve descrizione di come si intende risolverlo. Lo stesso vale per i commenti positivi, in modo che un elettore “fidelizzato” si senta ancora più legato a quel candidato, perché si sente parte di un progetto.
3. CREAZIONE DEL CONSENSO
I social, per utilizzare una terminologia ripresa dal sociologo polacco naturalizzato americano Zygmunt Baumann sono l’esempio per eccellenza di “società liquida”: la rete è un immenso contenitore globale dove ognuno nascosto da una tastiera esprime la propria idea e si rende partecipe di una protesta o di un progetto spesso chiedendo proprio attraverso i social di essere partecipe attivo di un cambiamento. Lasciare da solo queste persone vuol dire perdere un potenziale voto ed un potenziale elettore/sostenitore. Sarebbe bello se ad ogni persona che esprime idee costruttive si dicesse: “mi piace la tua idea, perché non ne discutiamo insieme? Noi ci vediamo tutti i giovedì a quest’ora proprio per discutere di queste problematiche….”. In questo modo la persona si sente coinvolta ed in questo modo si costruisce attorno al candidato un consenso che va ben al di là del semplice commento sul social trasformando quel consenso “mediatico” in partecipazione concreta.
A grandi linee questi sono alcuni degli accorgimenti che andrebbero presi nella gestione di una pagina social, nel corso del tempo verranno discusse ed analizzate anche altre problematiche relative alla gestione delle pagine e della creazione del consenso, prendendo anche spunto da quanto già fatto da altri, studiando casi positivi ed analizzando casi negativi, con la speranza che questi consigli possano essere utili e costruttivi sia per chi pensa di volerlo fare come lavoro sia per chi non è addetto ai lavori ma comunque ha un interesse in materia.