La sconfitta del Movimento 5 Stelle: la fine dell’utopia?

Se andiamo ad analizzare il voto delle elezioni europee appena passate non avremmo dubbi che uno dei partiti usciti con le ossa rotte è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte.

Sceso sotto la soglia psicologica del 10% (si è fermato poco sotto al 9,9%) il partito che sino a qualche giorno fa si vantava di essere “fondamentale per la costruzione del fronte progressista” improvvisamente si trova relegato in una posizione marginale, anche a causa (o per merito) del buon risultato di AVS (Alleanza Verdi-Sinistra) e del PD (Partito Democratico).

La cosa più facile è dare tutta la colpa a Giuseppe Conte, almeno se ascoltiamo le dichiarazioni di STEFANO PATUANELLI (attuale capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle) che chiede un rimpasto all’interno del Movimento stesso e TONINO TONINELLI (Ex ministro dei Governi di Conte che lo ha definito “un tecnico che non scalda i cuori” mettendo a confronto la figura di Conte con quella di Beppe Grillo, capace negli anni del Vaffa Day di arringare le folle ad una presunta rivoluzione che nessuno (se non forse Casaleggio padre nella sua testa) aveva chiaro in mente cosa fosse o cosa potesse essere o che cosa dovesse diventare il Movimento una volta passata la “spinta rivoluzionaria” (sebbene particolarmente qualunquista).

Candidature sbagliate, nomi che non hanno entusiasmato la platea dei Cinque Stelle (a differenza di alcuni nomi del Partito Democratico e dell’Alleanza Verdi-Sinistra), una linea politica poco chiara (tra cui il fatto non trascurabile che i Cinque Stelle non hanno mai chiarito il gruppo in cui sarebbero schierati una volta entrati al Parlamento Europeo) sono tutti elementi che hanno pesato sulla sconfitta del Movimento e fatto dire a molti esponenti del partito di quanto fosse necessario tornare alla purezza degli ideali originali del Movimento.

Qui si apre il primo interessante fronte di discussione (fondamentale per la sopravvivenza del Movimento): quali sono gli ideali di cui si parla? Forse che il definire tutti i parlamentari “criminali da mandare a fare in culo”? O forse il concetto di uno vale uno? Le candidature con i provini in stile Grande Fratello? L’idea di Casaleggio che la sola forma di democrazia funzionante fosse quelle telematica? L’idea di aprire il Parlamento come una scatola di sardine (senza una minima idea di cosa fare dopo averlo aperto)?

A questo punto, almeno sulle candidature, andrebbe spezzata forse una lancia in favore di Giuseppe Conte: sin dalla sua nomina a presidente ha insistito per togliere il vincolo dei due mandati (assoluti) agli eletti del Movimento Cinque Stelle e forse aveva ragione lui, anche perché le nomine nascono proprio dal fatto che Conte è stato costretto a pescare nomi sconosciuti (o semi sconosciuti) proprio perché tutti i big del partito erano al secondo mandato.

Quello del secondo mandato resta il primo dei grandi nodi irrisolti del Movimento Cinque Stelle, uno di quei nodi impossibili da risolvere; da una parte abbiamo la rigidità dei duri e puri che crede nel processo di cambiamento a tutti i costi (anche della classe dirigente) dall’altra la praticità di Conte che ha compreso come cambiare parlamentari ogni dieci anni possa minare la possibilità di costruire una classe dirigente del Movimento stesso e come il vincolo di doppio mandato renda difficile anche la fidelizzazione dell’elettorato a cui si chiede di votare non per le persone ma per un’idea e un programma nemmeno tanto precisi.

La sopravvivenza del Movimento 5 Stelle dipende tutto dalle decisioni che verranno prese nelle prossime settimane: semmai dovesse scegliere di tornare alle origine (alla politica del vaffanculo di grillino memoria) allora saranno destinati alla scomparsa, se invece opteranno per costruire un movimento veramente di sinistra progressista capace di stare al passo con la modernità allora potranno essere un importante alleato del “fronte progressista”.

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